Beppe Grillo si autoproclama difensore della libertà del Web
Informazione e bufale «Propongo una giuria popolare, non un tribunale, sulla veridicità delle notizie dei media». La strategia dell’ex comico: dall’elogio di Amazon a quello di Trump. In difficoltà sugli avvisi di garanzia recupera il «frame» della battaglia del nuovo contro il vecchio
Informazione e bufale «Propongo una giuria popolare, non un tribunale, sulla veridicità delle notizie dei media». La strategia dell’ex comico: dall’elogio di Amazon a quello di Trump. In difficoltà sugli avvisi di garanzia recupera il «frame» della battaglia del nuovo contro il vecchio
«Tutti contro Internet. Prima Renzi, Gentiloni, Napolitano e Pitruzzella, poi il ministro della giustizia Orlando e infine il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno. Tutti puntano il dito sulle balle che girano sul web, sull’esigenza di ristabilire la verità tramite il nuovo tribunale dell’inquisizione proposto dal presidente dell’Antitrust. Così il governo decide cosa è vero e cosa è falso su internet. E alle balle propinate ogni giorno da tv e giornali chi ci pensa?». Nel giorno della votazione sul nuovo codice etico del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo lancia un’idea delle sue: «Propongo non un tribunale governativo, ma una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali». Grillo le spara grosse ma raggiunge il suo obiettivo. Così, proprio mentre le polemiche sugli avvisi di garanzia rischiano di far passare il messaggio che ormai il M5S è un «partito come tutti gli altri», il cofondatore del M5S si autonomina difensore del web e si riposiziona sul suo frame preferito: quello del «nuovo» contro il «vecchio», del mondo che sta emergendo contro il passato che sta affondando.
Grillo ci tiene a presentarsi come messaggero del futuro prossimo. Ha chiesto voti in nome delle stampanti 3D, portatrici di una nuova era. Nel corso dell’ultima campagna referendaria ha inneggiato ai colossi (monopolisti) dell’economia digitale, portando giganti pieni dello sfruttamento come Amazon ad esempio della nuova era. Poi sono arrivate le parole del garante della privacy sulla lotta alle bufale, seguite dal monito di fine d’anno del presidente della repubblica sul web come «ring permanente». Accuse un po’ generiche che seguono la disfatta ancora calda del tentativo renzista di combattere Grillo sul suo stesso terreno.
Tuttavia, al di là della retorica sul web come sfera impermeabile ai vecchi media, gli strateghi della Casaleggio Associati e lo stesso Grillo sanno bene che i media non si dividono in compartimenti stagni, tra «vecchi» e «nuovi». La grossa (e forse unica) vera intuizione di Gianroberto Casaleggio era basata proprio su questa consapevolezza: traslocare la televisione di cui Grillo era portatore dentro lo spazio ancora avanguardistico del web italico, reinvestire il capitale di notorietà del comico su nuove fette di audience e format ibridi. Proprio negli Anni zero, quando la rete iniziava ad essere usata in modo facile e superficiale dall’audience televisivo, insomma, Grillo spostò le tecniche comunicative verticali dal televisore al monitor, limitandosi a lasciare un po’ di spazio alla connessione orizzontale dei suoi seguaci, organizzati in sorta di fan club (i meetup «gli Amici di Beppe Grillo») oppure a consentire di commentare i post sul suo blog. Il gioco di sponda tra vecchi e nuovi media riuscito benissimo al Grillo tecnoentusiasta degli albori oggi viene messo in pratica dagli esponenti pentastellati più esposti (Di Maio e Di Battista in primis), le cui partecipazioni televisive vengono valorizzate dai seguitissimi account social connessi al Movimento e diffuse viralmente. Ancora una volta, un ibrido: un messaggio televisivo si propaga come contenuto digitale a partire da un unico centro di diffusione.
È questo il motivo per cui il regista delle apparizioni grilline su stampa e tv, l’ex Grande Fratello Rocco Casalino, esercita un’attentissima selezione degli scenari e delle testate in cui far apparire i frontman della sua scuderia. Eppure hanno gioco facile i due capigruppo in Parlamento grillini, Vincenzo Caso e Michela Montevecchi: «Prima, con la scusa della lotta alle bufale in rete, provano a imbavagliare internet, ormai unico vero squarcio d’informazione indipendente in un sistema mediatico fondato sulla partitocrazia, e poi accusano il M5S di oscurantismo se propone che i media tradizionali rendano conto delle notizie false diffuse», dicono. Grillo e i suoi parlano come se fossero i portavoce di un inesistente «popolo del web», intestandosi al tempo stesso sia le pulsioni libertarie della prima rivoluzione digitale e che le spregiudicate mosse comunicative di Trump, altro personaggio passato dalla tv (dove è divenuto celebre come unico giudice del reality The Apprentice) alla politica che Grillo ha pubblicamente elogiato per il modo in cui è riuscito a oltrepassare coi bombardamenti mediatici la obsoleta Linea Maginot dei vecchi media.
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