Il governo Meloni è un pugile suonato. Al centro del ring continua a prendere sberle sul decreto «trasparenza» che avrebbe dovuto rimediare all’aumento dei prezzi dei carburanti provocato dalla sua decisione di rimuovere il bonus sulle accise nella legge di bilancio.

IERI, durante le audizioni alla commissione Attività produttiva della Camera il provvedimento è stato demolito dal presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust), Roberto Rustichelli. A finire nel mirino è stata una delle misure principali che, secondo l’esecutivo, avrebbe dovuto fermare la «speculazione» fatta dai benzinai: i cartelli che dovrebbero esporre il prezzo medio regionale dei carburanti. La trovata è inutile, indurrebbe in confusione gli automobilisti, è tutt’altro che «trasparente» e contribuisce ad aumentare ancora di più i prezzi.

PREOCCUPATI di rilanciare la palla avvelenata nel campo del governo Assopetroli e Unione Energie per la Mobilità (Unem) la pensano allo stesso modo . I petrolieri e i raffinatori sostengono che gli aumenti dei carburanti «sono contenuti nell’ambito dell’aumento dell’accisa» ripristinata dal primo gennaio. Per l’Unione nazionale consumatori la pubblicazione del prezzo medio regionale sarebbe dannosa e avrebbe più senso «ritirare il decreto» perché la nuova formulazione è «annacquata», a cominciare dalle multe salate subito ritrattate ai benzinai che non espongono i famosi cartelli. L’associazione dei consumatori Adoc ha invece contestato l’Antitrust: non farebbe l’arbitro, ma giocherebbe con i petrolieri. Per eliminare questi dubbi teologici l’Antitrust ha annunciato un’«indagine conoscitiva» sulla filiera dei carburanti. In attesa dell’enigmatico responso resta il caos prodotto da chi, ignaro dei misteri gloriosi della «concorrenza» e dei suoi effetti sui prezzi, ha pensato di trovare un capro espiatorio nei benzinai da denunciare in diretta Tv.

MELONI & CO. hanno fatto una manovra diversiva. Accade non solo alle destre, ma anche alle sinistre neoliberali. Fanno di tutto per spostare l’attenzione dalla responsabilità del capitale. E dalle proprie. La «speculazione» avviene all’origine della rete, e non solo e non tanto a valle. È strutturale al mercato delle multinazionali interconnesso con quello finanziario. Non si riflette tanto nelle differenze dei prezzi in una zona, ma soprattutto sul differenziale fra il prezzo internazionale del petrolio ora in calo e il prezzo del carburante alla pompa che invece sta aumentando.

PER ANNI il differenziale è costato 14-15 centesimi in più ai «consumatori» a bordo delle quattro e delle due ruote. E, con la guerra russa in Ucraina ha fatto un balzo, attutito dal governo Draghi con i bonus pagati comunque dai contribuenti. E non è finita. Gli auto e moto-muniti sentiranno di più il costo della guerra, cioè la speculazione, dal 5 febbraio, quando entrerà in vigore le sanzioni al gas russo.

IL GOVERNO potrebbe avere due strade chiuse da percorrere, cercando di evitare di schiantarsi. La prima è cercare i fondi dal bilancio per tornare a pagare gli sconti sulla benzina e il diesel (variante Draghi), ma ha già detto di non avere trovato soldi a sufficienza nel fondo-cassa lasciato dall’ex banchiere. Inoltre, il nuovo ciclo dell’austerità impedirebbe di fare extra-deficit. Oppure potrà ingegnarsi a cercare altri capri espiatori. Dopo i benzinai potrebbe pensare agli alieni. Del resto la pubblica opinione, che un tempo si diceva votasse con il portafoglio, oggi sembra addormentata sugli altari dei feticci «identitari» e paccottiglia varia. Aspettarsi da questa politica una critica dell’economia capitalistica è francamente grottesco. Ma il senso del ridicolo potrebbe aiutare a non esagerare dal prenderla troppo sul serio.