Gli anni della crisi hanno flagellato l’industria italiana, portando con sé licenziamenti, chiusure, cassa integrazione: non è un mistero, e i bollettini di diversi istituti lo registrano da tempo, ma ieri si è aggiunto il Rapporto Industria della Cisl. Che parla di ben 900 mila posti persi dal 2008 al 2013, e quasi 140 mila a rischio quest’anno.

Il tutto, in un contesto che certo non aiuta: da un lato la cassa integrazione in deroga – che aiuta tante imprese a restare in piedi, salvando spesso il lavoro – che non è stata ancora sufficientemente rifinanziata, dall’altro un governo troppo preso dalle riforme costituzionali e dalle nomine Ue, disattento all’emergenza dei cittadini. Lo ha ricordato due giorni fa la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, con una dura nota di critica al presidente del consiglio, Matteo Renzi.

Sono tante le aziende, grandi e piccole, note e o pressoché sconosciute al grande pubblico, che in questi giorni vivono momenti di passione, con i lavoratori che hanno in mente tutto tranne la serenità di godersi le vacanze estive: si va – solo per citarne alcune – dalla Ideal Standard alla Thyssenkrupp di Terni, dalla Sapa di Priverno di Latina alla raffineria di Gela, senza dimenticare situazioni costantemente a rischio, anche dal punto di vista ambientale, come il siderurgico di Piombino e l’Ilva di Taranto.

Spesso i lavoratori sono costretti a occupare le proprie fabbriche, sognando forse di poterle mantenere in vita: ma spesso si tratta di produzioni che hanno bisogno di forti investimenti di capitale, non solo per l’attività ordinaria, ma anche per l’innovazione e l’aggiornamento costante degli addetti. Non c’è davvero altra via: è il governo che deve attivarsi con una seria politica industriale, con risorse e investimenti che a loro volta spingano i gruppi privati a scommettere sull’industria del nostro Paese.

Temi che il sindacato ricorda costantemente, da qui anche l’appello/attacco della segretaria della Cgil al premier: «È davvero ora che il governo Renzi rompa gli indugi e agisca per attuare la prima vera riforma che serve all’Italia: difendere e allargare l’occupazione, trovare risorse per investire nel lavoro», ha scritto Camusso nella sua nota. I sindacati la settimana ventura – il 22 e 24 luglio – saranno impegnati in vari presidi per sollecitare al governo il rifinanziamento completo degli ammortizzatori sociali.

Tornando più nel dettaglio al rapporto della Cisl, leggiamo che sono 136.616 mila «i lavoratori a rischio di perdita di impiego nel corso del 2014», nei settori della manifattura e delle costruzioni. Sono quindi oltre 10mila le persone che ogni mese rischiano di vedere saltare la propria occupazione. E quel che più preoccupa, è che questo dato peggiora rispetto alle stime 2013, con 13.486 posizioni in più in pericolo (+11%).

Particolarmente colpito il Sud, se calcoliamo che dei 900 mila posti persi negli anni clou della crisi – il periodo 2008-2013 – ben 490 mila, cioè il 58,9% del totale, sono andati persi nel Meridione solo lo scorso anno.

Secondo il segretario confederale della Cisl, Luigi Sbarra, «l’Italia non può permettersi di perdere il proprio patrimonio di capacità industriali». Ecco perché, per la Cisl, il solo Jobs Act, o la già varata riforma Poletti dei contratti a termine, non possono bastare: «Le sole azioni per l’ulteriore modifica del mercato del lavoro rischiano di essere inutili, se non dannose, creando una pericolosa altalena fra attese e incertezze – dice Sbarra – Piuttosto, ci si dovrebbe concentrare su ciò che è rimasto incompiuto, vale a dire il necessario allargamento delle tutele in caso di crisi aziendale e disoccupazione, il contrasto al falso lavoro autonomo e il decollo delle politiche attive del lavoro».

«L’allarme della Cisl va preso in seria considerazione – commenta Cesare Damiano (Pd), presidente della Commissione Lavoro della Camera – Chiediamo al governo di procedere con gradualità a riformare gli ammortizzatori esistenti per non aggiungere all’attuale situazione, già molto grave, nuovi disoccupati».