In questa raccolta di contributi, La rivoluzione è il freno di emergenza. Saggi su Walter Benjamin (ombre corte, pp. 136, euro 14, traduzione di Gianfranco Morosato), Michael Löwy si confronta direttamente e indirettamente con un problema di fondo della ricezione dell’opera complessiva del filosofo berlinese: quello della continuità/discontinuità tra il Benjamin «teologo», per così dire, pervaso di ebraismo e di spirito messianico, e il Benjamin materialista-storico, sia pure in un senso decisamente originale. È merito di Löwy assumere tale problema non soltanto in termini di ricostruzione storico-filologica e di periodizzazione il più possibile puntuale, bensì mirando all’idea di rivoluzione, con un occhio di riguardo per le tesi Sul concetto di storia, che costituiscono le pagine forse più intense dell’ultima parte della ricerca benjaminiana e che sintetizzano mirabilmente la spinta di grande radicalità presente nella fase propriamente marxista della ricerca stessa e la sensibilità di ordine teologico-profano che indubbiamente non smette di manifestarsi pure all’interno di quest’ultima.

È DI FATTO ANCORA OGGI rilevante e di impatto non scontato il modo attraverso cui, nel cuore degli anni Venti del secolo scorso, Benjamin compie la sua singolare ermeneutica del marxismo richiamando ancora ordini di riflessione di carattere semantico-teologico, ma a ciò bisogna sempre raccordare il motivo assai concreto del rovesciamento pratico, meglio: della prassi rivoluzionaria, delle marxiane Tesi su Feuerbach, anche prendendo nella dovuta considerazione i rapporti con Brecht e Asja Lacis e la critica senza sconti alla «malinconia di sinistra» della «Nuova oggettività», una delle correnti culturali più significative del periodo weimariano.
A tutto questo, Löwy aggiunge, sulla base appunto della sua minuziosa lettura delle tesi Sul concetto di storia (contenuta soprattutto in Segnalatore d’incendio, Bollati Boringhieri, 2004), una indicazione precisa in riferimento alla presenza – accanto al messianismo ebraico e al marxismo – del romanticismo, già studiato in Il concetto di critica d’arte nel romanticismo tedesco, la tesi di laurea del 1919, cogliendo in esso una tonalità propriamente messianica che può consentire di afferrare diversamente il decorso storico, di comprenderlo contro-corrente, per così dire.

Tale articolazione della ricerca benjaminiana rimette al centro, con un gesto teorico di grande portata e che può essere utilmente riconsiderato nella sua valenza profondamente critica ancora oggi, i concetti di storia e di rivoluzione. In questa prospettiva, il libro di Löwy ha pagine effettivamente incisive che toccano alcuni dei caratteri del particolare «romanticismo rivoluzionario» del filosofo berlinese, attento a individuare le espressioni di una tensione decisiva che muove qualsiasi pratica di rovesciamento dei poteri dati, della loro corrispondenza alla logica di funzionamento del capitalismo, e che appare presente anche nelle forme della teologia di sensibilità messianica, costitutivamente indocile e assai poco inquadrabile nell’insieme preordinato dei discorsi religiosi istituiti.

È RISPETTO AI TEMI del progresso, di una determinata idea della storia e della rivoluzione che Löwy sottolinea l’originalità dell’approccio benjaminiano, radicalmente critico delle tante letture del progresso economico e tecnico come qualcosa di inevitabilmente destinato a chissà quale radioso futuro. Anzi, l’evoluzione storica, compresa appunto come «naturalmente» predisposta ad assicurare sempre più margini di emancipazione sostanziale da quella ideologia del progresso diffusa largamente anche all’interno di buona parte della sinistra europea novecentesca, appare a Benjamin come intimamente segnata in senso assolutamente negativo dal suo dipendere dalla legge capitalistica del plusvalore.
Ben lungi dal garantire spazi più ampi di liberazione da condizioni di esistenza asservita e dunque avvilita, tale evoluzione storica non può che condurre a un approfondimento del dominio e a delle catastrofi, connaturate allo sfruttamento capitalista degli esseri umani e della natura, nell’insieme delle loro espressioni.

È A QUESTO PUNTO che si chiarisce la novità, di carattere «antiprogressista», dell’idea benjaminiana di rivoluzione: essa non si presenta più nell’immagine della locomotiva, delineata da Marx, cioè come veicolo di accelerazione del progresso storico, ma in quella del «freno d’emergenza», da azionare senza riserve nel momento in cui l’evoluzione storica, legata al capitalismo, sembra effettivamente arrivare sull’orlo dell’abisso, del concretizzarsi terribile di un pericolo catastrofico.