Il ministro per le politiche agricole, Maurizio Martina è entusiasta del provvedimento «TerreVive» appena varato, l’ennesimo decreto legge che «vende o affitta» ben 5. 500 ettari di terreni agricoli di proprietà dello Stato a giovani agricoltori. Intendiamoci, la percentuale di disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli così allarmanti a causa delle scellerate politiche economiche neoliberiste che ogni azione è benvenuta anche se parziale e di effetti modesti. Ma anche l’atteggiamento più aperto non può nascondere il fatto che il decreto «TerreVive» è pieno di elementi preoccupanti che converrà evidenziare subito, così da potervi porre rimedio, ad esempio con un provvedimento più motivato.

Iniziamo dal primo e più grave. Il provvedimento da attuazione ad una norma della cosiddetta legge sulle liberalizzazioni (n.27 del 2012) voluta dal governo iperliberista presieduto da Monti. Un tema importante come il rilancio dell’agricoltura nel nostro paese era trattato all’articolo 66, buon ultimo dopo la liberalizzazione della vendita dei quotidiani e tante altre questioni marginali nella vita del paese. L’agricoltura può essere invece un fondamentale elemento per una (piccolo) incremento di occupazione e di un (grande) obiettivo di sovranità alimentare e di creazione di filiere di produzione corte. Esempi ce ne sono. Basta guardare, ad esempio, all’esperienza meritoria dell’associazione Libera che da tanti anni ha accumulato esperienze preziose nel campo. E invece della complessità va in scena la solita svendita del patrimonio pubblico.

Il testo di legge correggeva per la verità l’obbligo alla vendita previsto da Monti prevedendo anche l’affitto. Ma nelle slide presentate dal ministro Martina (è un’iniziativa autonoma o un obbligo di Renzi?) c’è scritto chiaramente che si procederà all’affitto solo nel caso di mancata vendita. Che parte in commedia recita il ministro? Vuole evidentemente superare Monti e rischiamo così di svendere un immenso patrimonio ambientale e paesaggistico per ricavarne quattro soldi: alle attuali quotazioni seppure si vendessero tutti i 5.500 ettari si ricaverebbero a malapena 500 milioni di euro. Un dodicesimo dei soldi buttati nella giostra del Mose di Venezia. Il bilancio dello Stato non si risanerà con queste politiche.

E veniamo alla norma che sta più a cuore agli speculatori che amano sempre più questo governo. Afferma solennemente il decreto che «non si potrà cambiare la destinazione d’uso del terreno se non prima di 20 anni». E vedi un po’ il contrario. Sono aree agricole che vengono vendute per aumentare l’occupazione in agricoltura e il ministro introduce un tema non pertinente come il cambio di destinazione urbanistica. C’è qualcuno che ha già messo gli occhi su alcune proprietà meravigliose per farci un resort esclusivo? Venti anni passano in fretta e rischiamo ad esempio che le proprietà del Corpo Forestale dello Stato nell’Appennino laziale e marchigiano diventino altre occasioni per l’ennesima villettopoli o altro.

E veniamo alla terza grave questione. Verranno venduti 2. 150 ettari del Corpo Forestale dello Stato e circa 900 di proprietà del Cra, il Consiglio di ricerca in agricoltura. La vendita avrà l’effetto di limitare ancor di più la preziosa opera del Corpo Forestale che pure ha già subito tagli di bilancio insostenibili e di azzerare i Cra che pure in materia hanno grande competenza.

Nella testa dei liberisti come Monti c’era solo l’obiettivo di distruggere ogni presenza dello Stato nella società. Vediamo con dispiacere che cambiano i governi ma l’ossequio a quelle folli dottrine prosegue senza soste.