Il fischio di un ferroviere al binario due della stazione Kazansky di Mosca, dove il treno 006 per Tashkent sta per partire, indica che il viaggio di quattro giorni in terza classe verso le terre centro asiatiche e successivamente medio orientali sta per cominciare. Il treno da Mosca a Tashkent è un treno molto particolare che segue l’asse transaralico, attraversando parte della Russia, entrando in Kazakhstan per poi approdare in Uzbekistan collegando due grandi capitali legate da un grande passato di continui scambi reciproci. Soprattutto in epoca sovietica, quando la città uzbeka era sotto l’Unione; il flusso di merci e passeggeri non si è mai interrotto su questa linea arrivando oggi ad essere uno dei principali punti d’incontro tra il continente europeo e quello asiatico.

Muzzaffar, ferroviere uzbeko della valle del Fergana, guarda fuori dal finestrino e dice: «Qui una volta c’era il mare». Siamo ad Aralsk, cittadina del Kazakhstan che venticinque anni fa riforniva di pesce i mercati di tutte le città circostanti grazie al suo porto presso il lago D’Aral. Oggi la costa dista più di 25 km e le insegne con le ancore all’ingresso della stazione sono solo un ricordo malinconico del passato. La scelta sovietica negli anni ‘60 di deviare i corsi d’acqua che rifornivano il lago per irrigare le terre aride circostanti, accompagnata da un progressivo innalzamento delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici, hanno fatto sì che questo specchio d’acqua, considerato una volta il quarto lago più vasto al mondo, andasse scomparendo quasi del tutto.

Dopo tre giorni di steppa, il paesaggio va cambiando lentamente. L’Uzbekistan è sempre più vicino, il giallo kazako lascia spazio ai colori rossi e rosacei dei fiori del deserto primaverile. Si intravedono alcune colline, i villaggi si fanno sempre più frequenti e nel treno cominciano i preparativi per l’arrivo. Tashkent, la capitale uzbeka, è a un fischio di treno. L’Uzbekistan, terra di madrase imponenti e crocevia centrale dell’antica via della seta e fantasia d’ogni viaggiatore.

A SAMARCANDA, BASTA SPOSTARSI DI QUALCHE METRO da piazza Registan e dai suoi monumenti imponenti, superare delle mura che ne delimitano l’area per entrare nel cuore pulsante della città, la mahalla. «Le autorità centrali di Tashkent hanno chiuso la zona antica dentro a delle mura imponenti», racconta un anziano abitante della mahalla mentre sorseggia del çay (tè) dentro un’antica çayhane (sala da tè tradizionale). In molte delle città uzbeke l’accesso alle mahalle è possibile solo da alcuni portoni situati in alcune strade dei centri storici delle città, spesso molto difficili da scorgere, isolando intere zone all’interno di angoli quasi dimenticati.
In ogni parte del mondo le autorità locali non sono mai sorde alla chiamata di possibili guadagni provenienti dal turismo. L’Uzbekistan non fa eccezione. Tuttavia, i programmi per lo sviluppo del settore turistico preoccupano l’Unesco, in particolare per quanto riguarda Bukhara, antica città lungo la via della seta e patrimonio dell’umanità dal 1993. Nel 2017 presidente Shavkat Mirziyaev ha firmato un decreto che ha dato il via libera a un piano volto a ristrutturare l’intera città con il finanziamento della Banca Nazionale Uzbeka. Il progetto prevede la costruzione, sul lato nord-ovest della cittadella risalente al V secolo, di un’area fornita di moderni hotel, centri benessere, negozi ed un anfiteatro da 500 posti, demolendo un vecchio mercato e quasi cento case di cittadini privati.

Uscendo dal caos delle città, la bellezza naturale dell’Uzbekistan si manifesta tra gli altopiani della valle del Fergana; un quadretto ricco di colori che si diffondono nell’immensità dei monti che dividono la valle dall’Uzbekistan occidentale.

Dall’altra parte il Kyrgyzstan, le sue montagne e i suoi accampamenti di yurte abitate da popolazioni nomadi. Il panorama è mozzafiato, seguendo l’autostrada M 41: l’altissima cresta del Peak Lenin (7134 metri) innevata spicca imponente tra altissime cime.

A Sary Tash, piccolo villaggio kirghiso a 3100 metri di altitudine, al crocevia tra Cina, Kyrgyzstan e Tajikistan, un anziano pastore kirghiso indica la catena del Pamir che si estende per svariati chilometri lungo l’orizzonte con i suoi maestosi ghiacciai. Nel silenzio solenne d’un ambiente incontaminato d’alta montagna un giovane ragazzo raccoglie dell’acqua da un flebile torrente che scende nell’altopiano.

LA QUIETE DI QUESTE REMOTE AREE È MINACCIATA oggi dallo scioglimento dei ghiacciai. L’Asia Centrale è una delle regioni più esposte all’aumento di temperature medie e quindi al conseguente stress idrico. Il rischio più ricorrente è che, senza accordi sulla gestione integrata e pubblica dell’approvvigionamento idrico con le comunità locali, questa risorsa potrebbe diventare un’ arma e intensificare le già esistenti tensioni lungo le labili frontiere dei paesi nella regione.
Scendendo lungo la M-41 si rientra a Osh, cittadina sul confine kirghiso/uzbeko, seguendo l’autostrada montana per Tahskent che costeggia il delicatissimo confine con il Tajikistan. Dopo più di venti ore di tragitto si raggiunge Termez, costeggiando il fiume Amu Darya e inoltrandosi sul ponte dell’amicizia. Superandolo si entra in territorio Afghano.

ALL’ARRIVO A MAZAR-E SHARIF LO SGUARDO SI PERDE tra le nuvole di smog. Con le prime luci nitide dell’alba, la sfarzosa moschea blu svela il suo incanto con la maestosità della propria architettura. Al mattino l’aria sembra più respirabile. L’intreccio minuzioso delle piccole maioliche colorate che ne costituiscono la struttura forma uno splendido abbraccio di verde turchese inframmezzato da tracce dorate, rendendo questa antica moschea del XV secolo un capolavoro dell’arte islamica. Nella sua grande piazza bianca alcuni mercanti si coprono il viso con delle stoffe, riposando all’ombra dei minareti azzurri che sovrastano il parco circostante perdendosi nel cielo. «Nella regione l’aria inquinata ha fatto più morti negli ultimi anni che i continui conflitti armati», racconta Wahid, un giovane venditore di tappeti afghano che possiede un piccolo negozio di fronte alla piazza della moschea blu.

Mazar-e-Sharif, con Kabul, è una delle città più inquinate del paese. La città ha un’alta concentrazione di polveri sottili e una varietà di sostanze chimiche pericolose rilasciate nell’aria soprattutto da aziende produttrici di mattoni. Un rapporto del progetto Health Effects Institute’s State of Global Air ha stimato che l’inquinamento atmosferico ha provocato 51.600 morti in Afghanistan nel 2016. Con un tasso annuale di 406 morti per problemi respiratori ogni 100 mila decessi, la qualità dell’aria è tra le peggiori al mondo. Proseguendo verso sud-ovest, prima di arrivare al confine iraniano, l’antica città afgana di Herat fa sfoggio all’orizzonte degli imponenti minareti del complesso Musalla. Nel tragitto che collega i due paesi si apre un territorio fatto di sabbia e sassi che si disperde tra alture tortuose confuse al profondo indaco del cielo desertico. Di tanto in tanto si scorgono villaggi interamente costruiti in terracotta. Tra le loro rovine storiche si aggirano anziani pastori con piccoli greggi di capre diretti verso le immense dune circostanti.

SOTTO GLI IMPONENTI ARCHI DEL KHAJU BRIDGE di Esfahan, in Iran, scorre poca acqua. Un gruppo di persone si raduna sotto le sue volte e comincia a cantare. «Quando ero piccola, venivo qua per rinfrescarmi. C’era tanta acqua che scorreva», racconta Azin. In Iran manca l’acqua. Il ben noto inquinamento da polveri sottili non è l’unico problema esistente nel paese. Una delle ragioni principali sta nell’utilizzo massiccio di acqua da parte delle centrali termoelettriche che, da un’analisi condotta nel 2018 dalla Friedrich-Ebert-Stiftung foundation, risulta essere il doppio rispetto all’uso domestico. L’inquinamento atmosferico sembra aver in parte risparmiato le aree montuose del Kurdistan iraniano. Nella strada che collega Sanandaj al confine iraniano si scorgono d’improvviso alcune casette color terra immerse in una strettissima vallata incastonata tra pendii vertiginosi e frastagliati, c’è il piccolo villaggio curdo di Palangan, nella provincia di Sanandaj, la città meno inquinata del paese nonostante gli alti livelli di polveri sottili presenti nell’aria. Nella più dolce delle quieti di montagna i tetti delle case fungono da piccoli cortili nei quali intere famiglie banchettano nelle ore più fresche e pulite della giornata. Dopo il transito nel Kurdistan iracheno, turco e nei Balcani, una nave solca l’Adriatico per rientrare in Italia. Il porto di Bari accoglie gli arrivi col suo imponente faro, il viaggio nelle terre contaminate dell’antica via della seta è giunto al termine.