Si nota facilmente il residence Bella Farnia Maria, nel Comune di Sabaudia, ad appena cento chilometri da Roma. Sorto a metà circa degli anni Ottanta come residenza per turisti, è collocato nelle campagne dell’Agro Pontino, lungo la via Litoranea. Da decenni però quasi tutti gli italiani sono andati via e al loro posto sono giunti prima uomini e poi donne e ragazzi provenienti dall’India. Proprio questo residence e tutta l’area limitrofa è diventata ora zona rossa. Dopo un anno e mezzo di pandemia, le denunce di Tempi Moderni, della Cgil, dell’Eurispes e numerose inchieste, l’Italia si è accorta dell’esistenza di quest’area quando ha percepito il pericolo di una nuova varante della pandemia, appunto quella indiana.

L’equazione è stata immediata. Comunità indiana uguale variante indiana. Così sono iniziati i controlli e i tamponi nella comunità di Bella Farnia, trascurando che migliaia di altri indiani vivono lungo la fascia costiera e non solo in quel residence.

L’intervento della Prefettura e della Asl di Latina è stato provvidenziale ma si doveva intervenire almeno due mesi fa a tutela innanzitutto di queste famiglie. Solo nella giornata di ieri sono stati riscontrati 87 casi positivi. Ma nessuno, per ora, risponde alla variante indiana. Tutti infatti sono contagiati dalla variante inglese, sebbene si sia in attesa del sequenziamento genomico.

Ora gli indiani contagiati saranno condotti in due strutture individuate a Sabaudia per la quarantena. Le famiglie contagiate resteranno invece dentro il residence. Per chi vive uno stato di emarginazione e di povertà già strutturale questa quarantena moltiplicherà il disagio e la sofferenza. Sedicenti capi della comunità indiana hanno iniziato una competizione a chi appare di più in televisione, senza riuscire a collaborare attivamente con le istituzioni. Probabilmente è in corso il loro tentativo di accreditarsi come fonte unica per le istituzioni locali.

Mentre inizia la zona rossa di Bella Farnia e degli indiani, in pochi si sono domandati cosa sarà delle persone contagiate. Il problema, infatti, non è solo sanitario, sperando che le loro condizioni non peggiorino. La questione è anche economica, sociale e lavorativa. I braccianti non dispongono di grandi risorse economiche e la quarantena potrebbe farli precipitare in uno stato di grave difficoltà. L’esito potrebbe essere l’esplosione di filiere del credito illegale che amplificheranno affari sporchi e ricatti. Oppure si amplierà lo stato di povertà fino a diventare forse insuperabile. Lo stesso vale per i figli di queste famiglie che saranno costretti a seguire le lezioni a distanza con grandi difficoltà per via della non sufficiente disponibilità di supporti tecnologici e di internet. Insomma l’emarginazione e lo sfruttamento della comunità indiana rischiano di amplificarsi dinnanzi ad una pandemia che continua ad essere gestita come zona rossa senza pensare al domani di chi ancora vive sotto padrone.