Il contagio si espande in Libano: 149 i casi positivi e quattro decessi fino a ieri. E si è fatta più concreta la prospettiva che il paese segua la strada del lockdown totale tracciata da Cina e Italia. Un clima cupo avvolge il Libano già segnato da una profonda crisi economica e fortemente indebitato. Beirut, la più vibrante delle capitali arabe, si è svuotata e le sue strade deserte la rendono irriconoscibile. E sono quasi del tutto scomparsi i presidi simbolo delle proteste contro corruzione e disoccupazione che avevano attraversato per settimane Beirut e altre città. La popolazione, come nel resto nel mondo, teme molto il Covid-19 e sui social qualcuno afferma di sperare nella previsione fatta dalla “sensitiva” Layla Abdel Latif. Alla vigilia di Capodanno aveva anticipato la pandemia, ora Abdel Latif prevede che il coronavirus si aggirerà ancora per qualche settimana e poi scomparirà all’improvviso.

 

Strade deserte a Beirut (foto The961)

Bello, però non ci credono gli altri libanesi che oltre al timore di ammalarsi, guardano alla catastrofe economica, innescata dal coronavirus, che si sta abbattendo sul paese. Le conseguenze per la maggioranza della popolazione saranno devastanti. I segnali ci sono tutti. Tra settembre 2019 e febbraio 2020 hanno chiuso 800 ristoranti, pub e trattorie. Solo a gennaio, 240 imprese sono fallite con tanti di posti di lavoro perduti in un paese in cui il tasso di disoccupazione tra chi ha meno 25 anni è stimato al 37%. E il costo della vita è salito alle stelle.

 

Il quadro macroeconomico è terrificante. Il Libano, da qualche settimana nelle mani del Fondo monetario internazionale, è ufficialmente inadempiente e non è affatto sicuro di riuscire a ristrutturare il suo debito estero in termini più favorevoli come spera il governo Diab. I creditori chiedono un piano credibile che dimostri che il debito ristrutturato sarà rimborsato. Un punto interrogativo grava inoltre sugli 11 miliardi di dollari in aiuti internazionali promessi da 51 Stati nell’aprile 2018. Il Libano ha un disperato bisogno di 25-30 miliardi di dollari nei prossimi anni e teme che il recente crollo del prezzo del petrolio spinga l’Arabia saudita e altri paesi a congelare i finanziamenti che Beirut si aspetta. Negli ultimi mesi, la società civile libanese si è mossa per colmare il tonfo dei servizi pubblici e sono emerse iniziative per scongiurare la fame. Programmi che in molti casi sono stati chiusi a seguito del diffondersi del coronavirus. E si è ridotta la distribuzione di minestre gratis, ancora di salvezza per migliaia di persone.

 

Operazioni di disinfezione nel parlamento (foto Mustaqbal)

Non tutti guardano alla situazione con pessimismo. Tariq Tarshishi scriveva qualche giorno fa su al-Joumhouria che l’emergenza Covid-19 non presenta solo rischi. Il tasso di interesse globale, ha sottolineato, è sceso e ciò potrebbe consentire al Libano di ristrutturare il suo debito con interessi non più al 7% ma all’1%. Il calo del prezzo del greggio, ha aggiunto Tarshishi, diminuirà la bolletta energetica a vantaggio dei conti dello Stato. La crisi coronavirus, ha concluso, contribuirà a una maggiore coesione sociale e politica. L’ottimismo dell’editorialista di al-Joumhouria per ora non trova conferme nella realtà, soprattutto in politica. Nemmeno il virus ha fermato lo scontro tra l’influente partito Hezbollah filo-iraniano e i suoi avversari. Quando lo scorso 21 febbraio è stato annunciato il primo caso positivo in Libano, le fazioni anti-Hezbollah hanno denunciato che il contagiato era un pellegrino tornato da Teheran. «Grazie all’Iran per aver permesso a un aereo che trasportava persone infette di entrare nel nostro spazio aereo», ha aperto quel giorno il suo telegiornale il canale MTV. Ma l’ammalato, un frate residente ad Acharafieh, era invece giunto dall’Italia.