La Banca europea per gli investimenti (Bei) è la banca di sviluppo dell’Unione europea. Con un budget annuale di poco più di 70 miliardi di euro dovrebbe portare benefici alle popolazioni dei paesi membri e delle realtà del Sud del mondo dove interviene. La crescita economica, nel rispetto dei diritti umani, è anche una prerogativa della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), nata per aiutare gli stati post-comunisti dell’Europa dell’Est e dell’Asia Centrale.

NELL’ARCO di una settimana, entrambe le istituzioni hanno elargito con grande generosità centinaia di milioni di euro per progetti che sembrano non esattamente pertinenti al loro mandato. Progetti che, in maniera più o meno diretta, hanno a che fare con l’Italia.

LA BEI HA STANZIATO la cifra record di 1,5 miliardi di euro per il Trans Adriatic Pipeline, l’ormai famoso Tap, ultimo tratto del Corridoio Sud del Gas che parte dall’Azerbaigian e passa dalla Turchia, fortemente voluto dalla Commissione Europea. Poco importa che così si continua a investire nell’estrazione di combustibili fossili e ci si lega mani e piedi a un’opera destinata a essere impiegata per decenni, visto che non si esclude l’uso del tanto vituperato gas russo e una possibile estensione fino al Turkmenistan (quarto produttore di gas al mondo). E così tutti i continui richiami all’Accordo di Parigi sul Clima diventano un vuoto esercizio di retorica. Poco importano poi le proteste in tutto il Salento, che considera il Tap solo dannoso per le comunità e il territorio.

Altro che sviluppo. Il consiglio dei direttori della Bei ha ignorato le ragioni dei salentini, sostenuti da gruppi e organizzazioni di tutta Europa, ma ha parimenti «lasciato correre» altre ombre che incombono sul gasdotto.

IN PRIMIS quelle disseminate dall’inchiesta giornalistica Azerbaijani Laundromat, che ha rivelato come fra il 2012 e il 2014 l’Azerbaigian abbia fatto transitare tramite una banca danese due miliardi di euro in parte destinati a politici dell’Europa occidentale. Tra questi anche l’italiano Luca Volonté, non a caso su posizioni filo-azere in sede di Consiglio d’Europa. Le spesso circostanziate accuse al governo di Baku di riciclaggio di denaro, corruzione, violazione dei diritti umani e repressione sistematica di ogni forma di opposizione non hanno impedito alla Bei di staccare un assegno miliardario.

D’altronde, se guardiamo in casa nostra, per esempio con il Mose, già in passato l’istituzione con sede a Lussemburgo aveva erogato tranche di finanziamenti nonostante i progetti sostenuti fossero macchiati di corruzione. Insieme a quello per il Tap, la Bei ha concesso un prestito per la diga di Nenskra, in Georgia, della cui realizzazione di sta occupando l’italiana Salini-Impregilo. Altri soldi pubblici per l’impianto idroelettrico, 230 milioni di dollari, li ha garantiti la Bers. Anche in questo caso sono finiti in secondo piano gli interessi delle comunità locali, nello specifico gli abitanti della Svanezia, a due passi dal confine con l’Abkhazia, che lamentano impatti devastanti per il loro territorio, consultazioni palesemente inadeguate e possibili violazioni di convenzioni internazionali.

IL TAP E NENSKRA sono due esempi di come le grandi opere seguano logiche che poco hanno a che fare con il paventato «sviluppo», quanto meno delle aree dove vedono la luce. Il fatto che entrambi i finanziamenti si siano concretizzati con un ampio ritardo sulla tabella di marcia è un’altra conferma dell’esistenza di una pletora di problemi.

DA SOTTOLINEARE che se non si «espongono» (aprono i cordoni della borsa) le istituzioni pubbliche, è difficile che intervengano gli istituti di credito privati, che infatti finora si sono guardati bene dall’impegnarsi davvero sia nel gasdotto che nella diga. Il ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali, che spesso agiscono in grande opacità e lontano dai riflettori dei grandi media, è quindi sempre più chiave per le politiche che una ampia fetta delle popolazione europea contesta con decisione.