Esiste una terra di mezzo che vuole essere terra di tutti, o quantomeno dei più. È quella solcata dall’aratro della divulgazione culturale, che, nel mondo della musica, tenta in Italia di colmare un noto digiuno di competenze. Per semplificare ed esemplificare la situazione, si potrebbe parafrasare una nota riflessione di Kipling: che ne sa di letteratura chi conosce solo la letteratura? Ma in controtendenza alle modeste sorti e regressive della musicologia nazionale (di cui è conferma la stessa perdita di peso nell’editoria), negli ultimi anni si è registrata una crescita generosa di attività finalizzate a educare all’ascolto consapevole.

Su questa linea corre felicemente la più recente produzione di Giorgio Pestelli, che in occasione dell’anniversario pubblica I concerti di Beethoven Il genio da pianista a compositore (Donzelli, pp. 149, € 16,00) e una nuova edizione del precedente Il genio di Beethoven Viaggio attraverso le nove sinfonie (Donzelli, pp. 275, € 19,00), arricchito di un auspicato capitolo sulle ouverture sinfoniche. Il volume sui cinque Concerti per pianoforte, su quello per violino e sul Triplo conserva l’orientamento descrittivo del precedente, nel solco antico, nobile e mai invalidato di quel George Grove che oltre un secolo e mezzo fa aveva gettato le basi per la diffusione democratica della musica.

L’analisi interna delle opere non esclude, fra queste pagine, la loro contestualizzazione storica e sociale: il doppio fuoco sul pianista e sul compositore è calato sullo sfondo dell’evoluzione degli strumenti (dal clavicembalo al fortepiano e poi al pianoforte) e del passaggio dal concerto privato a quello pubblico, con la sfilata dei grandi protagonisti dell’epoca beethoveniana e della generazione immediatamente antecedente: da Johann Schobert a Georg Christoph Wagenseil, da Johann Baptist Cramer a Muzio Clementi.

Pestelli non si sottrae alla confidenza di gusto personale, quella che in linea di massima le scienze musicologiche per statuto congelano. Così non esita a manifestare un personale apprezzamento dello stesso Triplo Concerto contro altri illustri esegeti. La distribuzione degli argomenti per paragrafi brevi alleggerisce la lettura e apre circoscritti quanto stimolanti momenti di riflessione sui processi creativi beethoveniani. Molto efficace, per fare un solo esempio, la parentesi attorno a quelle battute del tempo Adagio del Concerto «Imperatore» che prefigurano in forma larvale il tema del Rondò conclusivo: Pestelli scrive che «la musica di Beethoven, fra i suoi compiti, ha anche quello di raccontare i propri procedimenti, divenire una registrazione del fare artistico».

Lo si intende come un gesto di assoluta modernità e a un tempo come rivelazione di quei processi di riduzione all’archetipo scaturiti forse non meno dai progressivi limiti della sensibilità auditiva del genio musicale di Bonn. Il libro contiene infine un dettagliato resoconto delle fortune dei Concerti, con uno spazio dedicato alla storia della curiosa quanto infelice trascrizione per pianoforte della parte solistica del Concerto per violino.