Il parlamento europeo ha approvato a Strasburgo la nomina di Christine Lagarde a presidente della Banca Centrale Europea con 394 sì, 206 no e 49 astensioni, tra cui i Cinque stelle. Gli eurodeputati hanno votato a favore anche del numero due del Board di supervisione bancaria Yves Mersch con 379 sì, 230 no e 69 astenuti. Il voto del parlamento su Lagarde ha un valore consultivo e politico, ma non è giuridicamente vincolante. La procedura di nomina dei membri del comitato esecutivo della Bce, tra cui il presidente, è complessa. È regolata dall’articolo 283 del trattato sul funzionamento dell’Ue e prevede che gli Stati membri dell’Eurozona propongano i candidati. L’Eurogruppo li discute e il Consiglio approva una raccomandazione. In seguito il Consiglio Europeo «consulta» il parlamento Ue e il consiglio direttivo della Bce; la nomina è competenza del Consiglio Europeo che dovrebbe ufficializzarla nella riunione del 17-18 ottobre.

Sulla figura dell’attuale direttrice del Fondo Monetario Internazionale, protagonista della politica delle porte girevoli con la Bce, si è misurata ieri una differenza sostanziale tra il Pd e i Cinque Stelle, pilastri dell’alleanza che regge in Italia il governo «Conte Due». Per Irene Tinagli, eurodeputata del Pd eletta alla presidenza della commissione per i problemi economici e monetari del parlamento europeo già occupata dall’attuale ministro dell’economia Roberto Gualtieri (Pd), il voto su Lagarde è un «fatto storico» perché «è la prima donna» a presiedere un’istituzione divenuta «un pilastro fondamentale non solo per la condotta delle politiche di monitoraggio» ma anche «per l’intero processo dell’integrazione economica dell’Ue».

Di tutt’altro avviso sono i Cinque Stelle, alleati sia a Roma che a Bruxelles con il Pd. Non potendo votare contro l’accordo tra i governi, ispirato da Francia e Germania al quale si è associato anche il «Conte Due», i Cinque stelle hanno scelto l’astensione. Di più non potevano fare perché il loro voto garantisce la maggioranza alla neo-presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, e al commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni, nel parlamento Ue. Lagarde fa parte del pacchetto delle nomine che vanno votate in blocco. «Noi abbiamo provato con tutte le forze a trovare anche solo un motivo per sostenere Lagarde alla Bce, senza successo purtroppo – ha detto Piernicola Pedicini, europarlamentare M5S – E una volta che il debito pubblico è cresciuto, si sono giustificate quelle politiche di austerità che poi sono diventate riforme strutturali, quelle di cui ha parlato il vicepresidente della Commissione Ue Dombrovskis. Questo vuol dire: compressione dei salari, tagli dei servizi e tagli delle pensioni. Una gigantesca opera di redistribuzione dal basso verso l’alto, dove i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri sempre più poveri. Adesso ci vengono a dire che hanno sbagliato e che cambieranno, ma è troppo tardi. Aspettiamo prima di vedere che i cambiamenti siano reali e poi forse ne possiamo riparlare». In realtà Lagarde, e l’ex capo economista Blanchard, hanno sostenuto posizioni più sfumate, anche sulla Grecia, ma certo senza grandi risultati.

La nomina di Lagarde avviene in continuità con la politica monetaria accomodante dell’attuale presidente della Bce Mario Draghi. «Ci sono forti ragioni che suggeriscono che il nuovo presidente della Bce, Christine Lagarde, continuerà più o meno sulla stessa linea» ha spiegato Yannis Stournaras, governatore della Banca centrale greca e componente del consiglio direttivo della Bce che nel consiglio di giovedì scorso ha sostenuto l’adozione del nuovo «Qe». «Ci sono costi e benefici in ogni decisione. Ma i benefici di agire in questo momento eccedono di gran lunga i costi». Le decisioni della scorsa settimana, ha aggiunto Stournaras, «erano necessarie perché l’inflazione resta molto bassa, le previsioni di inflazione a medio termine sono state riviste al ribasso e restano molto al di sotto dell’obiettivo della Bce e i tassi di crescita indicano un significativo rallentamento dell’economia dell’area euro». La decisione ha provocato molte polemiche tra i «falchi» tedeschi e del Nord Europa che contestano l’opportunità e la tempistica scelta da Draghi rispetto all’attuale ciclo economico che registra a livello europeo un rallentamento della crescita, ma non ancora una recessione.