Mentre le borse festeggiano la nuova ondata di liquidità annunciata dal governatore della Bce Mario Draghi, è opportuno soffermarci sulla relazione tra queste misure non convenzionali di politica monetaria e la cappa dell’austerità che continua a essere il segno distintivo delle politiche europee.

A partire dagli anni ’90, l’intera Europa è entrata in un periodo caratterizzato da salari reali (al netto quindi dell’inflazione) stagnanti o addirittura declinanti. Nello stesso periodo, l’aumento delle tariffe di numerosi servizi pubblici essenziali, spesso conseguenza di processi di privatizzazione, ha reso sempre più gravosa la fruizione di una serie di servizi che si configuravano in passato come parte dei diritti inalienabili dei cittadini. Infine, il vertiginoso aumento del costo d’acquisto o di fitto degli immobili a uso abitativo o commerciale, registrato in quasi tutto il continente, ha portato all’aumento della quota di salario destinata all’abitare o alla gestione delle piccole attività produttive.

La combinazione di questi tre elementi ha avuto come conseguenza una diminuzione netta del potere d’acquisto di chi lavora e l’aumento esponenziale del debito privato nel continente. Complice l’accomodante politica di tassi bassi della Fed americana, i governi europei hanno tutti cercato di favorire la sostituzione delle politiche pubbliche di welfare state con politiche di incentivazione dell’indebitamento privato.

Con l’arrivo della crisi e il varo delle politiche di austerità si è accentuata la politica di dismissione del patrimonio e della capacità d’intervento pubblica, mentre il sistema bancario europeo, alle prese con un’opera di ripulitura dei bilanci dalle perdite, ha disperatamente cercato di diversificare il proprio portafoglio degli impieghi verso le economie emergenti ed i mercati finanziari.

È all’interno di questo quadro che sarebbe opportuno incardinare gli interventi annunciati dalla Bce. In particolare è il nuovo round di prestiti alle banche finalizzati all’erogazione a privati e imprese a rappresentare non una novità ma un ritorno in forze alle politiche d’incentivazione dell’indebitamento privato. Mentre Unione europea e governi confermano la linea dell’austerità e della «precarietà espansiva», la Banca Centrale si ritaglia il compito di mitigare, nel breve periodo, gli effetti deleteri di queste politiche.

In sostanza, diritti e servizi pubblici vengono di nuovo barattati con un po’ di danaro perso a prestito. Il tutto in un continente che ha già raggiunto livelli altissimi d’indebitamento privato, quasi ovunque superiore al 200% del Pil. Siamo di fronte quindi non a una rivoluzione da salutare positivamente, ma a una nuova fase di creazione di rapporti di dipendenza di nuovi possibili debitori nei confronti dei grandi creditori internazionali. Rapporti di dipendenza che rappresentano un pericoloso surrogato dei salari e che, nell’indifferenza generale, rischiano di aprire la strada a nuove bolle immobiliari o azionarie, pronte a scoppiare.