L’Isis è entrata a Kobane o no? Non è facile stabilire quanto i miliziani islamisti siano avanzati all’interno della città curda siriana al confine con la Turchia. Fino a sabato le Ypg, le Unità di Protezione curde a difesa della comunità chiedevano armi e sostegno per fermare le milizie di al-Baghdadi, che ormai si erano impossessate della zona nord ovest della città. Ieri hanno ridimensionato l’imminenza del massacro: «l’Isis ha solo piantato una bandiera in un edificio nella zona orientale – ha detto un giornalista presente, Ismail Eskin – Non è dentro la città, ma ad est. Loro non sono dentro la città. Gli scontri continuano».

Questo è certo: la battaglia per Kobane prosegue violenta, con la partecipazione indiretta e parziale della coalizione che ha bombardato anche domenica i dintorni della comunità curda siriana, ma non ha saputo impedire l’avanzata degli islamisti, che la circondano su tre lati e la colpiscono con artiglieria pesante. Ieri sono morti oltre 45 combattenti da entrambe le parti, dopo una domenica di sangue: 74 islamisti sono rimasti uccisi insieme a 15 miliziani curdi nei circa 50 luoghi di scontro intorno alla città.

Uno dei più sanguinosi attacchi contro lo Stato Islamico è stato portato avanti da una combattente curda, Deilar Kanj Khamis, nota con il nome di battaglia di Arin Mirkan: la giovane si è fatta esplodere tra le file jihadiste uccidendo 10 miliziani e permettendo la ripresa della collina strategica di Mashta Nour, ora in mano curda.

I guerriglieri curdi dell’Ypg cercano di ritardare quello che appare inevitabile: «Se [l’Isis] entra a Kobane, sarà una tomba per noi e per loro. Non glielo permetteremo fino a quando saremo vivi – ha detto Esmat al-Sheikh, capo dell’Autorità di Difesa di Kobane – Morte o vittoria. Resisteremo fino alla fine».

A rispondere indirettamente all’avanzata islamista è la Turchia che ha dispiegato 14 carri armati su una collina vicino Kobane, a mo’ di difesa dopo i missili caduti in suolo turco e partiti dalla città al confine. Ad Ankara i curdi chiedono però un altro tipo di intervento: armi e non uomini. Ieri Salah Muslim, capo dei curdi siriani, si è incontrato con ufficiali turchi ed è stato chiaro: non c’è bisogno di un’operazione militare turca a Kobane, ma di armi che, ha aggiunto, i combattenti potrebbero prendersi da soli se Ankara aprisse per qualche ora i confini. Secondo i media locali, la risposta turca è giunta sotto forma di consiglio: le Ypg dovrebbe unirsi alle file dell’Esercito Libero Siriano e dichiararsi apertamente contrari al regime di Assad, il vero obiettivo di Ankara.

Il popolo curdo è tornato ad essere lo spauracchio del presidente Erdogan. Ieri le forze di sicurezza turche hanno lanciato gas lacrimogeni lungo la frontiera e disperso i curdi che si erano ritrovati lì per guardare da lontano gli scontri nella città sorella di Kobane.

Da parte curda non mancano poi le critiche al ruolo della coalizione, innanzitutto per il mancato coordinamento con i guerriglieri sul terreno. Dopo due settimane dall’inizio dei raid statunitensi e arabi sulla Siria, l’impatto sul campo è quasi nullo: lo Stato Islamico è entrato nella zona settentrionale di Kobane: «Ogni volta che un jet si avvicina, gli islamisti lasciano le loro posizioni all’aperto e si nascondono – denuncia Idris Nassan, portavoce dei combattenti curdi siriani – Quello di cui abbiamo bisogno sono armi e munizioni». E anche da Washington i dubbi vengono a galla: tra senatori e generali si allarga la richiesta di inviare truppe sul terreno, una possibilità che il presidente Obama non intende prendere in considerazione.

A peggiorare la situazione è il rapporto del Conflict Armament Research, organizzazione finanziata dalla Ue che analizza le armi utilizzate oggi dall’Isis: la stragrande maggioranza è di produzione statunitense, russa e cinese. Si tratta degli aiuti militari inviati a governi della regione o gruppi di opposizioni vicini all’Occidente e facilmente transitati nelle mani degli islamisti di al-Baghdadi.

Tra questi il Fronte Al Nusra, gruppo di ispirazione qaedista che con l’Isis ha firmato un patto di non aggressione. Al-Nusra sarebbe stato il target della prima ondata di raid Usa in territorio siriano, svela la stampa statunitense, nel tentativo di uccidere un ex funzionario dell’intelligence francese, ora arruolato tra le file di Al Qaeda. Lo hanno rivelato fonti europee, secondo cui la spia francese – che alcuni dicono essere ex funzionario dell’intelligence, altri delle Forze Speciali – è ora membro del gruppo qaedista. Immediata la reazione di Parigi: il Ministero della Difesa ha smentito la notizia: «Dopo controlli questa mattina, possiamo affermare che le informazioni riguardo legami tra il jiahdista citato dalla stampa e i servizi segreti francesi sono totalmente errate».