La bocciatura più clamorosa è stata quella di Pietro Grasso, di Leu, al quale stando all’accordo non blindato della maggioranza sarebbe dovuta andare la presidenza della commissione Giustizia del Senato, dove resta invece il leghista Andrea Ostellari, nominato due anni fa dalla maggioranza gialloverde.

Per il resto è un film già visto, che alla fine delle votazioni potrebbe riservare altre sorprese e relativi malumori. “È un accordo difficile e complesso”, sintetizza a metà giornata il capogruppo del Pd al Senato Marcucci. Non esagera, anzi minimizza. La lista dei nuovi presidenti di commissione sulla quale, dopo decine di ore di riunioni, la maggioranza ha raggiunto l’intesa, per evitare di slittare a settembre, provoca una rivolta aperta nella truppa a cinque stelle. Al punto che l’intera delegazione in commissione Esteri alla Camera, finita al Pd con l’intramontabile Fassino, mette nero su bianco il suo totale dissenso.

Quella degli Esteri non è la sola presidenza che i 5S considerino inaccettabile. Sempre alla Camera la Finanze, postazione chiave, dovrebbe andare al renziano Marattin e forse quello è il nome che i pentastellati sono meno disposti a ingoiare. Ma Renzi, che mira a fare il pieno piazzando anche Raffaella Paita ai Trasporti, è inamovibile. Al Senato, poi, la Finanze dovrebbe finire a un Pd, D’Alfonso, riducendo così all’osso le presidenze di commissioni economiche in mano ai 5S. Resterebbe loro solo la Bilancio del Senato, con Daniele Pesco. Un problema in più è l’Ambiente di Montecitorio, dove sarebbe indicato come presidente Piero De Luca, figlio del governatore campano Vincenzo. “E pensare che eravamo nati per combattere l’inquinamento nella Terra dei Fuochi”, sibilava ieri un 5S evidentemente poco soddisfatto dalla mediazione dei plenipotenziari, i capigruppo Crippa e Perilli e il reggente Crimi. Del resto non è solo questione di nomi più o meno graditi.

L’accordo, nel complesso, ridimensiona il peso dei 5S, scostandosi dalla preponderanza assoluta che avevano ottenuto grazie ai risultati, oggi lontani, del 2018. I vertici del Movimento sono del tutto consapevoli di non poter contare sui loro parlamentari.

Dunque ieri pomeriggio hanno messo in campo tutti gli espedienti possibili per controllarne il voto. Prima di tutto la minaccia di sostituire i ribelli, nelle rispettive commissioni, con elementi di più sicura affidabilità. Poi una serie di manovre che dovrebbero consentire di individuare ogni singolo voto. Difficilmente però la gestione autoritaria dei 5S basterà a risolvere la questione.