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Batman Arkham Knight

Batman Arkham Knight

Game Tutto è scandito da una ritmica implacabile che ci costringe a proseguire, a voltare ancora una pagina, con urgenza, missione dopo missione

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 18 luglio 2015

Disteso sul piano scrostato di un inceneritore giace il corpo defunto del Joker, con il ghigno incancellabile congelato dal rigor mortis. il volto del pagliaccio psicopatico riempie tutto lo schermo e il giocatore lo osserva inizialmente spiazzato, chiedendosi quale sia il suo ruolo, forse solo quello di fissare il cadavere in un lungo commiato. Poi si nota la piccola, discreta scritta su un angolo: “premi X per incenerire”. E’ questa la prima azione che compiamo in Batman Arkham Knight, apoteosi elettronica dell’immedesimazione nel bat-corpo e nella bat-mente, ultimo episodio della saga videoludica sull’Uomo Pipistrello di Rocksteady uscito per Playstation 4, XBox One e (in una versione non all’altezza di quella per le console e addirittura rimossa dal mercato)per Pc. Così bruciamo il cadavere sorridente del nemico, un gesto pietoso e dolente, persino intimo e tenero poiché la morte, anche quella del suo peggior avversario, è qualcosa che Batman non tollera e che aborre; egli non è un assassino. Non lo sarà mai. O no?

Subito dopo questo funebre preludio c’è un altro shock. Questa volta ci muoviamo nella soggettiva di una visuale in prima persona. Siamo all’interno di un ristorante di Gotham City, nei panni di un agente di polizia. Una cameriera si lamenta perché qualcuno sta fumando nel locale così ci rechiamo fino al suo tavolino per rimproverarlo e per fargli rispettare la legge. Ma non appena il trasgressore si gira percepiamo il suo volto orrendo e l’uomo ci fa respirare un gas venefico che trasforma il locale in un luogo da incubo, in una mortale allucinazione. E’ Jonathan Crane, lo Spaventapasseri, ed è tornato in città.

Sono trascorsi cinque minuti scarsi di gioco e dopo un inizio così possente è difficile immaginare che le prossime ore possano essere altrettanto spiazzanti e coinvolgenti. Lo saranno, ancora di più, fino ad un micidiale climax finale. Non appena indossiamo la maschera del pipistrello iniziamo quindi un’epopea metropolitana destinata a consumarsi tutta in una lunghissima e piovosa notte, un dramma interattivo che ha la vastità e la profondità narrativa di un’intera, lunga serie di fumetti e che, come ci sussurra una vecchia conoscenza la cui identità e saggio tacere per non rovinare la tetra sorpresa ai futuri giocatori, ci trasforma in “prigionieri del gioco psicotico di qualcun altro”.

La struttura del gioco è quella concedente una relativa libertà d’approccio caratteristica di un videogame in stile “open world” ma senza la caotica pochezza di motivazioni e il senso di smarrimento che affligge alcune opere appartenenti a questo genere. In Batman Arkham Knight tutto è conciso, scandito da una ritmica implacabile che ci costringe a proseguire, a voltare ancora una pagina, con urgenza, missione dopo missione. E’ sconsigliabile gettarsi solo sulla storia principale poiché trascurando le derive non ci confronteremo mai con altri grandi nemici storici di Batman e ognuna di queste possiede la sua dignità narrativa e una caratteristica personalità ludica: le indagini sui cadaveri delle vittime di un omicida melomane lasciati a pendere come macabri trofei, il salvataggio di pompieri rapiti e torturati, l’inseguimento di una creatura mutante per i cieli della città, la risoluzione di decine di cervellotici enigmi per salvare la felina Catwoman, sventare una compulsiva ondata di rapine per le banche della città. Durante queste imprese potremo infine confrontarci con il gelido Pinguino, il confuso Due Facce, il bestiale Man-Bat e altri antagonisti leggendari come Firefly e l’Enigmista. Ognuna di queste sottotrame arricchisce a dismisura il soggetto principale incentrato sullo Spaventapasseri. Il perfido chimico minaccia una lisergica strage di massa, così che la metropoli immaginaria più triste di sempre viene evacuata. Per le strade si muovono solo più centinaia di sgherri e la milizia privata e organizzata di un nuovo nemico, la nemesi oscura di Batman che da il titolo al gioco, ovvero il Cavaliere di Arkham. Si tratta di un antagonista inedito, invenzione del videogioco, che assurge tuttavia a classico istantaneo grazie al carisma malefico che emana e allo stile con cui è disegnata la sua tuta, versione militarista e ancora più hi-tech di quella di Batman.

Oltre che planare sui tetti e tra i grattacieli con il grande mantello nero, valicare abissi sostenuti dal rampino, stendere nemici con colpi non mortali o celarsi nelle tenebre per sorprenderli e indagare grazie a fenomenali strumenti forensi questa volta dovremo guidare. Già, una delle più gradite novità dell’ultima opera di Rocksteady è proprio quella della disponibilità della bat-mobile, che ovviamente non è una macchina qualunque ma un una specie di bolide-carrarmato composto da lamiere mutanti. Le sezioni a bordo di questo ipercinetico veicolo sono implementate ad arte nel tessuto ludico e servono a variare ulteriormente l’azione grazie ad enigmi ambientali risolvibili solo a bordo della vettura e a distruttive corse mozzafiato.

Il vero campo di battaglia non è quello di Gotham, sebbene nella città e nei suoi edifici si consumi la guerra più appariscente, divertente e spettacolare, ma è nella “caverna di pipistrelli” che è la mente di Batman, un teso e apocalittico conflitto nella psiche dell’uomo prima che dell’eroe mai come in questo caso così poco super, malgrado la forza oltreumana che ricchezza, sapienza e tecnologia consentono a Bruce Wayne. Un dissidio germinale e virale, una “malattia” che non riuscendo a scalfire la determinazione di Batman tenta invece di corrodere la sua etica, dominandola e plagiandola in una forma di sottile e malvagia possessione. Così il viaggio nella tenebra è duplice, quello fino in fondo alla notte bagnata di una città dove si celebra una frenetica e violenta follia criminale e quello più pericoloso in una mente così tormentata e disperata da essere anche essa sul baratro di una pazzia devastante tenuta sotto controllo, fino ad ora almeno, da una volontà metallica e da una pietas virgiliana.

Rocksteady ha concluso con un ultimo, tragico capolavoro sull’umanità, e non sulla super-umanità, la trilogia dedicata a quel principe della notte che è Batman, orchestrando un videogame dalle architetture metropolitane e psicologiche che si fondono tra loro in un’allucinazione oscura e ambigua, un’opera che possiede una grandeur gotica il cui titanismo non cela una dimensione minimale. Il germe della dannazione che si scava una strada nelle carni come una scabbia diabolica, la maledizione opprimente di un intollerabile senso di colpa, odiato e disprezzato da chi ama e compreso con empatia solo da antichi e mai estinti demoni, Batman è una figura sofferente e spezzata, l’unico paladino possibile contro lo smisurato drago di una violenza scellerata che lo sfida a combattere con le sue stesse armi sanguinarie. E resistere a questa facile, liberatoria tentazione è la più alta impresa di Batman, la cifra del suo esemplare, troppo umano, eroismo.

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