Un oggetto misterioso atterra in città. È il 2012, a Napoli appare per la prima volta una pista ciclabile. Incredulità generalizzata mista a curiosità, di chi sarà questa striscia arancione?

Dai che bello ci porto il cane; io invece faccio jogging; per me è perfetta per metterci i tavolini del bar; ho deciso sarà la preferenziale per il mio scooter… mentre chiunque prova ad immaginare la migliore destinazione d’uso, ecco che arriva sulla scena cittadina, la figura del ciclista urbano.

Costui si aggirava da anni per la città con la sua bicicletta, muovendosi nella giungla del traffico partenopeo in solitaria e senza coscienza di appartenere ad un universo di altrettanti folli, che aveva scelto la bici come filosofia di vita o quasi. Ed è così che quasi d’incanto quella striscia arancione diventa un luogo d’incontro, ci si riconosce, ci si capisce, ci si confronta, consigli, problemi… tutto scorre su questa striscia.

Intanto il cambiamento coinvolge anche quelli che si affacciano sulla striscia arancione, aprono bar, ristoranti. Quelli che vendevano motorini, vedendo arrancare qualcuno in bici, fiutano l’affare e si mettono a vendere bici a pedalata assistita.
Il napoletano si fa due conti in tasca e l’idea di risparmiare tasse, bolli, assicurazione lo attira non poco, ed allora via lo scooter da domani ci muoviamo in bici (magari elettrica così non sudo). Insomma c’è un bel fermento, si avvistano anche cargo bike, come se qualcuno avesse pensato di vivere ad Amsterdam, frotte di turisti decidono di visitare Napoli in bici; parte il bike sharing; a Scampia professori di frontiera coinvolgono decine di studenti nel bike to school; alle storiche associazioni che ci occupano di ciclo-mobilità se ne aggiungono di nuove… A Napoli viene sdoganata la bici, i media ci seguono e gli siamo simpatici. Il morale è alto, siamo contenti: con così poco, voi direte? Si con poco, quanto basta per sognare.

Il risveglio dal sonno arriva presto ed è micidiale. Clacson e urla «perché non vai a pedalare sul lungomare?». Il nervo del trasporto pubblico in città è nuovamente scoperto. La città non si muove e la frustrazione dell’automobilista si scaglia contro chi è una delle soluzioni al problema. Gli sprazzi di cambiamento che fino a poco prima si tenevano tutti insieme si sono atomizzati.

Da Roma i soldi che arrivano ai Comuni sono sempre meno, la coperta è corta, emergenze e priorità sono altre. Eppure le risorse per le politiche di ciclo-mobilità erano poche anche prima: cosa è successo, perché non riusciamo a trovare la strada per andare avanti? Nel frattempo viene approvata la prima legge quadro sulla mobilità ciclistica. E allora perché a Napoli si è disperso quel fermento di cambiamento? Eppure non tutto è fermo, nuovi interventi significativi sono in corso o pronti a partire.

A mancare è lo scenario nel quale leggere questi interventi, in una parola la visione di città. L’appiattimento sulle emergenze dell’oggi ci ha privato di una visione prospettica fondamentale. Eppure non riesco a non pensare cosa sarebbe Napoli con alcuni interventi, come completare l’asse ciclabile da est ad ovest, praticamente pianeggiante connettendo i tratti già realizzati, con una ciclabile in sede protetta; una maxi ztl per il centro antico; un mix di zone 30, ztl e bike line in tutte le municipalità; garantire ai maggiori hot spot turistici la possibilità di arrivarci in bici in sicurezza; connettere l’Aeroporto a soli 4 km dal centro con una pista ciclabile; rimettere in piedi il bike sharing. Interventi puntuali, che si legano in una strategia chiara, per far respirare la città e guadagnare qualità della vita.
Il 28 aprile si carica di un’occasione per manifestare una necessità immediata di cambiamento di cui i Comuni, le Regioni dovranno farsi carico. Serve guardare a chi tra pochi giorni scenderà in piazza, sono una risorsa preziosa. Da tutta Italia, donne, uomini, bambini sono pronti a praticare il cambiamento a partire da loro stessi. Sarebbe un crimine non ascoltarli, e comunque non ve lo permetteremo!

* Associazione Napoli Pedala