Certo, fra le conseguenze del Covid-19 questa non è la più grave. Eppure, non è possibile non pensare con comprensione a tutti coloro che, nelle case editrici, si occupano di smistare e vagliare le proposte in arrivo e che negli ultimi mesi si sono visti travolgere dalla massa di parole prodotte dalla forzata clausura della pandemia.
Nessuna meraviglia, quindi, che qualcuno abbia detto: basta. Lo ha fatto pubblicamente, sia pure con il distacco appropriato per lo stile della maison, l’editore Gallimard che all’inizio di aprile, nella pagina dei contatti del suo sito, ha aggiunto due righe eloquenti: «Date le circostanze eccezionali, vi chiediamo di soprassedere all’invio di manoscritti. Abbiate cura di voi e buone letture».
Per dare maggiore risalto alla decisione, e a scanso di equivoci, il giorno dopo lo stesso testo è stato rilanciato sul profilo twitter della casa editrice, suscitando commenti comprensivi («traduzione: piantatela di rifilarci i diari in cui ci raccontate la vacuità della vostra vita nel 2020»), ironici («accidenti, avevo un capolavoro da proporre»), provocatori («dobbiamo anche soprassedere all’acquisto dei libri?») o velenosi («scelta severa, che non impedirà all’editore Gallimard, un tempo prestigioso, di pubblicare alla prossima rentrée letteraria il 95 % di romanculetti (romanculets, sic) desolanti».
Ripresa dall’agenzia France-Presse e riproposta da diverse testate francesi, la notizia del gran rifiuto di Gallimard ha fornito lo spunto per capire l’entità del flusso di inediti che ogni giorno si abbatte sulle case editrici in forma digitale o su ben concreti fogli di carta. La stessa Gallimard ha fatto sapere, per esempio, che in tempi normali arrivano in redazione più o meno trenta «manoscritti» al giorno, mentre con la pandemia i testi degli esordienti speranzosi sono diventati una cinquantina, troppi per una casa editrice che – afferma la redattrice Gabrielle Lécrivain, citata su Le Figaro – «ci tiene ad accordare la stessa attenzione ad ogni manoscritto ricevuto e a rispondere a tutti gli invii»: un lavoro considerevole «che richiede scrupolosità e disponibilità mentale», aggiunge Lécrivain, assicurando comunque che si tratta solo di una pausa.
Anche Laure Belloeuvre di Seuil conferma che il confinamento da coronavirus ha prodotto un aumento di inediti in cerca di editore, anche se – probabilmente pessimista per natura – si aspettava di peggio: «Come altre case editrici, anche noi l’anno scorso abbiamo pubblicato nel nostro sito un’avvertenza, chiedendo di rimandare l’invio di manoscritti. Per questo, quando abbiamo tolto il messaggio, prevedevo uno tsunami di testi che non si è verificato. Ma una crescita, sì, c’è stata».
Secondo i dati forniti da Belloeuvre, infatti, Seuil riceve mediamente 3500 testi inediti ogni anno, ma tra gennaio e marzo 2021 ne sono già arrivati circa 1200. «È molto», commenta. «Ora che tutti si servono di un computer per scrivere, leggiamo testi mandati da persone che evidentemente non leggono».
Il paradosso, infatti, è questo: se da un lato la pandemia ha fatto lievitare il numero di opere proposte in lettura alle redazioni (lo conferma pure Grasset: oltre un migliaio di manoscritti pervenuti dall’inizio dell’anno), dall’altro i lettori francesi sembrano meno inclini di un tempo a chinarsi sui libri. Il barometro semestrale pubblicato a fine marzo dal Centre national du livre indica infatti che nel 2021 si è registrato un calo nelle abitudini di lettura soprattutto nella fascia tra i 15 e i 34 anni. Un segnale preoccupante, anche se l’81% dei francesi è tuttora pronto a dichiararsi «lettore». In Italia oggi quanti si definirebbero così?