Triste è l’aggettivo più benevolo. Seguono pericolosa, degradata, brutta, e via citando in negativo. A definirla così non sono soltanto i privilegiati, quelli che a Torino vivono nel centro storico, ai piedi della collina, tra le vie borghesi del quartiere Crocetta. Triste è aggettivo che pronuncia con loro la gente di Cit Turin, Santa Rita, del Campidoglio, di Mirafiori, periferie di un tempo, oggi appena discoste dal cuore della città. Triste è aggettivo difficile da contraddire, specie se per Barriera di Milano ci passi in certe giornate dipinte di grigio torinese lucidato dalla pioggia. Barriera comincia poco oltre la distesa di teloni che coprono i banchi dell’immenso mercato di Porta Palazzo, comincia dalla linea diritta di corso Giulio Cesare. Per chi non ci vive, la sua realtà e i suoi confini si fermano in corso Giulio. Per chi non ci vive, le strade, le piazze, le borgate, le grandi aree delle fabbriche dismesse e di quelle che ancora lavorano, chiuse in un rettangolo urbano di venticinque chilometri quadrati per quarantacinquemila abitanti, sono un’addizione di luoghi senza significato. Tutto questo vale, anzi valeva fino a qualche settimana fa, anche a proposito di chi scrive. Poi la notizia, trovata su un giornale, di un progetto chiamato A Barriera c’è il mare; la curiosità di saperne di più; un numero di telefono cui risponde la voce di Erika Mattarella, responsabile dei Bagni Pubblici di via Agliè; la navigazione sul mare di Barriera un sabato mattina. Il racconto del progetto e della sua concreta utopia deve precederlo, però, la storia. Soltanto lei capace di dare corpo e voce a ciò che è scomparso o è sopravvissuto. Il passo indietro, lungo un secolo e mezzo, si ferma in piazza Crispi. Poco oltre iniziava la Reale Strada d’Italia, oggi corso Vercelli, diretta a Milano. In piazza Crispi, nel 1852, viene deciso di costruire la cinta daziaria per controllare il traffico delle merci con tanto di mura e posti di guardia. Nel 1880, oltre la cinta, e quindi oltre il limite della città, comincia a prendere forma un quartiere, ovvio chiamarlo Barriera di Milano. Uscita lentamente dalla crisi economica dopo la perdita del ruolo di capitale, Torino si apre, tra fine ’800 e primi ’900, all’industrializzazione, foriera della prima ondata migratoria. Arrivano operai dalla provincia piemontese, e subito a seguire dal Veneto, dalla Toscana e dalla Puglia. La grande emigrazione meridionale si materializzerà negli anni immediati del secondo dopoguerra. Vivere al di là della cinta daziaria vuol dire risparmiare sull’affitto di una casa e sull’acquisto di generi di prima necessità, con il vantaggio ulteriore della fabbrica poco distante. Barriera cresce a dismisura nell’arco di pochissimo tempo, sviluppando via via un volto urbano completamente diverso da quello del capoluogo sabaudo; una commistione di edilizia residenziale e industriale che va rubando terreno ai campi, si avvicina alle cascine, disegna fisicamente e socialmente un’altra Torino. Protagonista assoluto di questo rapidissimo sviluppo è Luigi Grassi, di lui si racconta in altra parte. Grassi, dal 1903 al 1912, costruisce quaranta condomini abitati da 1366 famiglie, oltre cinquemila persone, per un totale di trecento e ventimila metri quadri. Gli alloggi sono tutti uguali: due camere di ringhiera, bagno sul balcone, condiviso con altri due inquilini. La pigione è bassissima, ancor più bassa di quella delle case dell’Ente Autonomo. ’L morador, il muratore, come lo aveva soprannominato Antonio Gramsci, che sulle pagine dell’Avanti volentieri lo prendeva di mira, continuerà il suo lavoro in Barriera fino al 1938. Negli anni ’60 gli abitanti del quartiere ammontano a circa settantamila, distribuiti su un territorio che ha triplicato la sua estensione. Altri insediamenti sorgeranno nel decennio successivo. Proletaria e operaia. Altro, Barriera, non poteva essere. La Rivolta del pane, agosto del 1917, casus belli il ritardo nel rifornimento di farina, sfocia in violenti scontri con l’esercito e la polizia, terminati soltanto cinque giorni dopo lasciando sul campo morti e feriti. La Casa del popolo, costruita agli albori del ’900 e incendiata dai fascisti il 15 aprile 1921, affaccia su piazza Crispi, la piazza per eccellenza del quartiere. Nelle file della Resistenza si schierano le SAP (Squadre di Azione Patriottica) delle fabbriche e zonali. In piazza Crispi, alla fine degli anni ’40, apre la sede del PCI. Barriera appartiene a Torino da un secolo e mezzo. Ma Torino non ha mai smesso di dimenticarla, geografia di un mondo tanto più da evitare oggi che è seconda patria di centinaia di nuovi migranti. Cosa ci vai a fare in un posto senza barman acrobatici, sushi, neppure un passeggio di vetrine e una multisala come si deve. Eppure, se un sabato mattina provi ad andarci, scopri che a Barriera c’è il mare. Lo attraversano i murales di Millo, i banchi del mercato di piazza Foroni, l’archeologia dei Docks Dora e delle Officine Grandi Motori, il vecchio dancing Le Roi, il laboratorio del sarto nigeriano, i concerti dello Spazio 211, l’hammam marocchino… Lo attraversano soprattutto, ogni giorno, i suoi marinai. Gente che rivendica di essere nata o approdata qui, gente che sul mare di Barriera sa come affrontare le tempeste peggiori. Quelle scatenate dalla stupidità dei pregiudizi.

ITINERARI ALTERNATIVI
Il sette gennaio 2016, sul New York Times, compare la classifica dei cinquantadue posti al mondo da scegliere per una vacanza. Torino è trentunesima. Se la citazione del nuovo Museo Egizio risulta scontata, le sorprese arrivano nelle righe che seguono. Robyn Eckardt, autore della scheda, raccomanda una serata nei locali e nei laboratori creativi dei Docks Dora, una passeggiata alla scoperta dei murales di Arte in Barriera, una visita al Museo Ettore Fico. Un segnale, una conferma, per le tante persone, associazioni, cooperative, che stanno portando a termine Urban Barriera, programma di sviluppo urbano avviato nel 2011: trentaquattro interventi, trentacinque milioni di euro finanziati da Comune, Regione e Comunità Europea. Del programma, concluso il 31 dicembre dello scorso anno, faceva parte la piccola, grande scommessa di trasformare una realtà cittadina apparentemente priva di attrattive in un richiamo turistico. New York Times a parte, ma buttalo via, gli artefici di A Barriera c’è il mare, i Bagni Pubblici di via Agliè e i Laboratori di via Baltea, nell’idea ci hanno creduto fin dall’inizio, convinti della sua valenza più importante, quella di essere un Progetto di Comunità, cioè costruito e deciso collettivamente. Il 14 ottobre 2016 viene distribuito a oltre seicento residenti un questionario. Premessa: ‘Ti ferma per strada un gruppetto di turisti decisi a visitare (lodevole questa risolutezza di intenti, ndr) Barriera di Milano. Quali luoghi suggerisci per…”. Seguono le specifiche: Mangiare e bere, Scattare delle belle fotografie, Comprare un souvenir made in Barriera, Vedere una mostra o un’opera artistica, Passare un pomeriggio o una serata interessanti. I risultati del questionario si traducono in un pieghevole che propone cinque tematiche (Mangiare e bere, Arte, Made in Barriera, Relax e Foto) articolate in una serie di percorsi. Brevi note ne specificano i vari punti, una mappa li localizza. C’è anche un sito, turinbarriera.it. Tutto chiaro, no? Salvo un dettaglio: il perché di un nome ‘fuori luogo’, visto che a circondare Barriera è solo l’acqua dolce di due fiumi, Po e Dora Riparia, e di un torrente, la Stura. È un mare invisibile, rispondono, dove le onde prendono forza dalla storia del quartiere, dalla sua faccia a volte piacevole e altre no, dalle voci e dai mestieri dei migranti di oggi e di ieri, dalla creatività giovane delle idee, dagli spazi di cultura sottratti al cinismo dei piani regolatori e dei centri commerciali. Il mare non ci sarà, ma quanto a dimensioni Barriera gli somiglia. Facile accorgersene un sabato mattina, seguendo il passo spedito di Beppe Beraudo, professore in pensione, che a un altro posto dove vivere non ha mai pensato. Lo segui tra i banchi del mercato di piazza Foroni, allungati nelle strade a ridosso e quasi nascosti dall’affollarsi della gente. Piazza Foroni non si chiama più così. Da qualche anno la targa recita piazza Cerignola, desiderio esaudito della numerosissima comunità pugliese, cui si deve il trasporto e la collocazione di un’immagine della Madonna di Ripalta, patrona di Cerignola, su un angolo della piazza. I condomìni di Via Agliè, via Lombardore, via Favria portano la firma dell’impresario edile Luigi Grassi. Ogni cortile è un fondale di balconi, porte d’ingresso a minuscoli appartamenti dove vivere in cambio di un affitto modesto era assai meglio che altrove. Cortine edilizie, così si chiamavano le sfilate di quegli edifici un tempo topografia della Barriera. I bambini giganti appaiono all’improvviso. Sovrastano grattacieli, reggono sulle spalle una città o vi si tuffano dentro in costume da bagno, mangiano un piatto di spaghetti e palazzi, squarciano un orizzonte metropolitano. Sono le creature dei murales di Millo, che hanno regalato un volto alle facciate cieche di tredici caseggiati. Millo ha vinto il concorso bandito nel 2014 da Bart, Arte in Barriera, tema il rapporto tra l’uomo e il tessuto urbano. Altri murales, in corso Vercelli, li hanno lasciati Kreiss, al 124, e quelli di PicTurin sui muri perimetrali della Cascina Marchesa, al 141. Cultura e musica muovono il Museo Ettore Fico, l’Associazione Barriera, la Fondazione Amendola, il Teatro piccolo piccolo, il Bunker, Spazio 211. Da una bottega di strada continuano un lavoro artigiano ormai antico l’officina delle biciclette, il bottonificio, il fornaio di taralli, l’ombrellaio, il sellaio, da poco il sarto di stoffe nigeriane. Ubriaca di ricordi il viaggio, passando senza preavviso da un gruppo di casette liberty alle architetture di una cascina smarrita dei suoi campi, dal piano di Fred Buscaglione nel dancing Le Roi alle aule della scuola Gabelli che evocano Franti e il maestro Perboni. Le cattedrali della Barriera operaia bisogna guardarle a fine giornata, aspettando il buio dentro cui scompariranno la sagoma mutilata eppure ancora immensa delle Officine Grandi Motori, il lungo profilo della ex Incet, l’universo fantasma dei Docks Dora popolato di gente e di suoni. Avanti tutta, a Barriera c’è il mare. Davvero.

GLI ANNI DELLO SCEMPIO
Tragici quegli anni, i ’50 e ’60 del Novecento, anche per Barriera di Milano. La barbarie della speculazione trasformò in macerie case e palazzine che rappresentavano parte non esigua della memoria del quartiere. Se, da un lato, vennero abbattute costruzioni fatiscenti, dall’altro, e con ben altro zelo, furono rase al suolo decine di vecchi condomìni, e con loro le officine e i laboratori nei cortili. Le distruzioni fecero, in seguito, anche vittime illustri. La cascina Bottesini, seicentesca, sulla piazza omonima, non esiste più. Quando venne abbattuta era abitata e in ottime condizioni. Nessuna autorità sentì il bisogno di intervenire, Superfluo specificare che al posto dei condomìni sorsero edifici privi di ogni criterio estetico. Ancora più stridente, perciò, appare il contrasto di questi oltraggi urbani con le case realizzate, tra il 1902 e il 1938, da Luigi Grassi. Nato a Bologna nel 1876, Grassi lavorò come operaio nei cantieri delle ferrovie abruzzesi e toscane. Poi il servizio militare a Torino, dove si stabilì in corso Ponte Mosca 20, nella Barriera che sarà luogo privilegiato dei suoi progetti e del suo impero. A determinare la scelta di concentrare la propria attività sull’edilizia popolare a basso costo di affitto, il ricordo, secondo quanto lui stesso ebbe a dichiarare, delle modeste condizioni della famiglia da cui proveniva. Grassi tentò, in un’occasione, era il 1905, di rivolgersi al ceto medio, costruendo dieci villette a schiera affacciate su via Agliè e sulla parallela via Favria. A differenza delle case di ringhiera, le villette si articolavano in più stanze, tappezzate e dotate di pavimenti in legno; avevano un bagno interno e un giardinetto. L’imprenditore cercava così di attrarre nel quartiere gli impiegati delle industrie locali, contando sulla maggior facilità nel raggiungere il posto di lavoro rispetto ad altre zone della città. L’idea si rivelò un fallimento «… Ahimè, ancora oggi penso con rammarico a quell’idea pessima, poiché queste case furono e sono ancora oggi la mia disperazione. Le tenni vuote per un bel po’, gli impiegati ed i professionisti vennero, videro e se ne andarono». Maggior fortuna ebbero i caseggiati del 1937, al 164/ 170 dell’attuale largo Sempione, tra via Monterosa e via Sesia. Pur rimanendo abitazioni a basso costo d’affitto, rappresentano il definitivo abbandono da parte di Grassi della ‘ringhiera’, sui cui aveva costruito, è il caso di dirlo, le sue fortune. A lui si deve l’invenzione dei moduli prefabbricati in cemento, prodotti nella fornace di proprietà, che consentivano ingenti risparmi di tempo e di denaro. Altro aspetto non trascurabile l’attenzione ai particolari. Le case Grassi sono ingentilite da decori e motivi ornamentali esterni in stile liberty; si nota poi una certa ricercatezza nel disegno dei portoni, delle finestre, dei balconi; i cortili rivelano uno studio accurato degli spazi comuni e di quelli per i laboratori e le officine. A Barriera c’è il mare propone un itinerario in tema, che consigliamo caldamente di seguire.

BOX 1
Per chi abitava in ringhiera, l’acqua calda di un bagno rappresentava un sogno. Ci si lavava ‘a pezzi’, dal getto freddo del rubinetto della cucina, oppure scaldando una pentola sulla stufa. Negli anni ’50 aprirono i bagni pubblici di via Agliè 9, e da allora continuano a fare il loro dovere. Oggi, accanto al servizio docce, ha trovato spazio un centro socioculturale, divenuto rapidamente punto di riferimento per gli abitanti del quartiere, storici e di ultimo arrivo. I Bagni sono promotori di incontri, serate, attività, e offrono la cucina del Bistrot Acqua alta, che, in nome del rispetto, esclude dal menu la carne di maiale e i suoi derivati. Primi e secondi semplici e gustosi. Per informazioni, 011 5533938, bagnipubblici.wordpress.com, bagnipubblici@consorziokairos.org.

BOX 2
Il modo migliore per scoprire la Barriera è unirsi alle visite guidate che si svolgono durante il fine settimana. Beppe Beraudo, nostro impareggiabile cicerone, fa parte di un gruppo di volontari capaci di raccontare in ogni dettaglio e ad ogni angolo la storia del quartiere. Chi preferisce ‘viaggiare’ in proprio, si affiderà ai cinque itinerari tematici del pieghevole, distribuito gratuitamente nei locali di Barriera e nei punti informativi turistici di Torino. Preziosi anche i suggerimenti per una sosta al bar, o un buon pranzo ristoratore. Gli stessi contenuti sono a disposizione sul sito turinbarriera.it. La libreria La casa delle Note, Via Cherubini 8, offre un ampio repertorio di libri dedicati alla Barriera di Milano. Per informazioni, info@turinbarriera.it