Il dubbio è lecito: quanto sia giusto pubblicare un disco postumo, un progetto che l’artista avrebbe magari modificato, rimodulato decidendo alla fine di tenere nel cassetto? Ribadiamo: dubbio lecito, anche perché qui ci troviamo di fronte al primo vero disco postumo di Prince: Piano and a Microphone 1983 del 2018 e Originals del 2019, erano di fatto delle compilazioni di demo. Da dove arrivano queste canzoni registrate intorno alla primavera del 2010 e inserite in questo Welcome 2 America? Sono il frutto di session insieme alla nuova sezione ritmica composta dalla bassista Tal Wilkenfeld e il batterista Chris Coleman che aveva suonato in gruppi gospel. Tracce prelevate da un forziere – custodito dalla fondazione che cura la Legacy di Prince nella sua casa/studio Paisley Park in Minnesota, composto da 8 mila (sì, avete letto bene…) brani.

DODICI PEZZI dove è chiara la matrice funk, il riferimento ancor più evidente in questa occasione alla musica anni ’70, peraltro in gran spolvero in questi mesi grazie all’operazione che vede insieme Bruno Mars e Anderson.Paak e Silk Sonic. E allora sgombriamo il campo da ogni dubbio: la qualità è eccellente e forse perché abituati in questi anni a suoni plastificati, minutaggi contingentati a misura di radio e featuring disperanti, l’ispirazione del geniale folletto del funk, risulta ai massimi livelli. La traccia che apre e intitola l’album è un sermone parlato contro una nazione ossessionata dalla celebrità, e che in anticipo di black lives matter parla di un paese «terra di gente libera, ma anche casa della schiavitù». Ritmiche serrate e omaggi alla scuola di Curtis Mayfield in Born 2 Die, con l’inconfondibile falsetto di Prince. Imperdibile.