I monumentali ambienti gotici del Bargello, precocemente concepito, all’indomani della proclamazione del Regno, come sacrario per la scultura del Rinascimento italiano, non sono nuovi agli allestimenti sperimentali: dalla Sala di Donatello, pensata a fine Ottocento nelle forme medievaliste che tutt’oggi conserva, sino al gusto postmoderno del progetto di Carlo Cresti per quella di Michelangelo, degli anni settanta del secolo scorso. Decisamente innovativa, in termini di pensiero museografico, è anche l’esposizione del ricchissimo medagliere mediceo-lorenese, sistemato di recente in nuove sale insieme a pezzi maggiori della scultura barocca centroitaliana, tra cui spicca il ritratto berniniano di Costanza Bonarelli.

Il riavvicinamento alla scultura di un genere poco frequentato dai non specialisti è uno dei meriti di questo allestimento, così sensibile alle più recenti questioni di metodo della storia dell’arte. Innanzitutto, la nuova attenzione per l’intermedialità, cioè per le sovrapposizioni a dispetto delle differenze di scala tra le arti, qui resa tangibile dagli accostamenti ai medaglioni in bronzo dorato di Jacopo Bonacolsi detto ‘L’Antico’, capolavori della plastica rinascimentale; agli affilati ritratti, intagliati di profilo nel porfido, di Francesco del Tadda; o ancora al bozzetto per il monumento equestre ad Alessandro Farnese di Mochi; e inevitabilmente al dispiegarsi di tutte le possibilità materiche – di cera, argento, terra cruda, marmo e, va da sé, bronzo – della scultura barocca, Ne è specialista Paola D’Agostino, direttrice che nella fase conclusiva del suo mandato ha voluto e diretto questa nuova sistemazione.

La sensibilità per il dato materiale è un tratto della studiosa chiamata, invece, a operare la selezione sugli oltre diecimila pezzi conservati in collezione, Lucia Simonato, che ne ha estratto 240 esemplari, ordinandoli – con gesto curatoriale inedito – insieme a un raro punzone e a una ventina di coni. Tali strumenti di lavoro sono mostrati a fianco delle medaglie stesse che hanno prodotto, all’interno di vetrine innovative, che da un lato invitano a uno sguardo ravvicinato, estraendo i cassetti uno a uno come in uno studiolo antico, e inducono a esplorare i dettagli delle superfici o a leggere con la lentezza di osservazione per cui erano concepite le complesse allegorie, a memorizzare i tratti degli effigiati. Dall’altro, nelle pareti trasparenti delle vetrine propriamente dette, i pezzi rimangono sospesi nell’aria, e così alcune fusioni, come quelle arcaizzanti di Francesco da Sangallo, riescono a esibire il loro impressionante spessore, ricordandoci il gesto con cui tali oggetti sono stati impugnati da sempre, per ruotarli nel palmo e scoprirne il rovescio.

Altri temi attraversano l’ordinamento di queste due sale, come la promozione dell’architettura monumentale – con le spettacolari miniature della Rocca Costanza di Pesaro o l’ampliamento a Firenze di Palazzo Medici Riccardi – o l’ossessione mostrata per il genere da artisti e letterati, e ancora la serialità come codice comunicativo nella rappresentazione del potere, del papato e delle dinastie dei regnanti d’Europa, qui soprattutto del Granducato di Toscana. Viene restituita così allo spazio del museo la ricchezza di contenuti che il genere ha offerto alla disciplina, ricordandoci anche la vitalità che la medaglia ha sempre mostrato nella storia culturale del Rinascimento e del Barocco.