Un disco da narrare. Sono queste le premesse per Roma è de tutti, ultimo album di inediti di Luca Barbarossa, uscito lo scorso 9 febbraio, che ha composto undici brani in dialetto romano, in maniera «artigianale nel quale il romano suona come una pigrizia mentale, un italiano sporcato da accento locale, una parlata e un orizzonte sociale e umano che ritraggono una città che è soprattutto uno stato d’animo».

Il cantautore, con la consueta bravura e precisione nel fotografare scorci di vita e microcosmi che all’improvviso si aprono all’universale, racconta così la genesi dell’album: «Queste canzoni sono venute fuori ‘da sole’ perché quando apri il ‘rubinetto’ del dialetto evidentemente escono delle cose che ti porti dietro da anni, forse da generazioni. Profumi, umori, suoni, stati d’animo, ‘traduci’ il rumore del cortile del condominio, rubi stralci di conversazione dalla finestra del vicino. Il dialetto crea immediatamente intimità e verità. Penso che, nonostante le premesse, sia il disco più internazionale che ho fatto, quasi un album di world music. Mi piacerebbe che la musicalità di questa lingua romana ‘facile’ creasse lo stesso effetto di quando si ascolta musica sudamericana o africana».

Roma è de tutti è stato scritto nel corso di un’estate e le canzoni, molto cementate e coerenti fra loro, sembrano quasi comporre un concept album. L’unica canzone che esisteva già era quella scritta a quattro mani con il regista Luigi Magni, Via da Roma, composta nei primi anni ’80. «L’ho custodita per anni e ora l’ho incisa anche per omaggiare Gigi, una persona alla quale ero molto legato. Un grande cineasta e intellettuale che non viene ricordato abbastanza».

L’ironia sembra essere il fil rouge dell’intero disco: canzoni come La dieta, La pennica e La mota narrano di piatti gastronomici, tradizioni romane, furfanterie di borgata ma nel disco c’è spazio anche per la denuncia politica e sociale come nel caso di Madur (Morte Accidentale Di Un Romano) «Come spesso accade, la realtà supera la peggiore delle fantasie. Oggi si fa il tiro all’africano dalle macchine, con il benestare dei movimenti politici, che inneggiano a un pazzo come se fosse un eroe della patria. Madur non è un fatto specifico di cronaca ma quello che sta accadendo in varie parti d’Italia e del pianeta. La storia è però, nella sua drammaticità, filtrata dall’ironia della sorte. La vera protagonista della canzone è l’assurdità perché, durante le indagini, scopriamo che la vittima di colore, ucciso da un gruppetto di bianchi, in realtà è l’unico romano. Purtroppo siamo in un periodo storico nel quale si ragiona per paure e per semplificazioni ma continuo a credere che la realtà superi qualsiasi dogma e che se si ‘personalizzasse’ su una sola persona un fenomeno, come quello della migrazione, sono certo che l’umanità prevarrebbe su qualsiasi ideologia».

Nel brano, Barbarossa duetta con Mannarino: «La sua voce era perfetta. Madur è una cronaca, con le parole dette dai protagonisti. Per questo volevo uno stacco di voce e certe frasi pronunciate da lui hanno una forza immensa anche perché Mannarino è la voce della strada, dei campi nomadi, dei diseredati. Mannarino ha portato luce dove c’è sempre stata ombra, come faceva De André, entrambi sanno regalare un corpo musicale ai trasparenti della società»