Barbara Bouchet frequenta il mondo del cinema da quasi sessant’anni, prima a Hollywood poi in Italia, dove ha trovato la consacrazione come attrice cult. Difficile non pensare alle sue sinuosità in Milano calibro 9 o in Non si sevizia un paperino oppure nelle molte commedie «scollacciate» accanto a Lino Banfi, Renzo Montagnani ed Enrico Montesano. Ma Bouchet non racchiude solo quel tipo di immaginario cinematografico riscoperto e osannato da tanti; nel tempo ha trovato complicità anche da parte dell’universo LGBTQI+. Infatti, lo scorso martedì 26 aprile, l’attrice ha inaugurato – nelle vesti di madrina – l’edizione 2022 del Lovers Film Festival di Torino, «il più antico festival sui temi LGBTQI+ d’Europa e terzo nel mondo diretto da Vladimir Luxuria», e che terminerà domani, domenica 1° maggio.

Barbara, come vive questo riconoscimento?
Sono onoratissima, quando mi chiedono di fare la madrina per un evento vuol dire che le persone ripongono fiducia in me ed è un complimento gratificante.

Quando ha preso consapevolezza di essere diventata icona del cinema di genere e successivamente icona gay?
Da un bel po’, non è una cosa nuova per me essere considerata icona gay. Lo vedo da tante mie amicizie e, quindi, vuol dire che nei loro cuori e nei loro occhi sono una persona che apprezzano e che ammirano. E sanno, soprattutto, che a mia volta apprezzo e ammiro loro. È una cosa reciproca. L’immaginario cinematografico al quale sono legata me lo porto avanti con orgoglio e sono felice in quanto mi ha dato la possibilità di avere una lunga carriera. Questo è importante perché avendo fatto dei film un po’ svestita, potevo non piacere a un certo tipo di pubblico, come quello femminile, e invece mi sono resa conto che tante donne mi apprezzano e vedono in me la persona, non il personaggio sulla schermo. Cosa che non tutti riescono a scindere.

Ha dichiarato di avere più amici gay che amici etero e che non sa dove sarebbe senza di loro. Cioè?
Nel senso che, per quanto riguarda i miei amici gay, so che posso contare su di loro in qualsiasi momento. Possiedono una sensibilità che gli uomini etero non hanno.

Lei è figlia di profughi che dall’ex Cecoslovacchia ripararono in Germania per poi stabilirsi in America. Difficile non pensare a quello che sta accadendo ora.
La mia famiglia dovette abbandonare la propria casa e la propria vita però, per fortuna, senza armi. Non ho vissuto una guerra, ma solo il fatto di venire «spostata». Quello che vedo oggi, in Ucraina, come le persone che si trascinano dietro le valigie con dentro un’intera vita, fa troppo male. Tutto questo m’impressiona e spero che si trovi presto una strada di pace.

Lei è forse una della poche attrici che non si lamenta della carenza di ruoli femminili «agés» al cinema. Un segnale di forte spirito di adattamento e di arte del compromesso?
No no, mi lamento eccome! In Francia scrivono ruoli bellissimi per attrici mature, mentre in Italia non accade. Mi accontento dei camei perché da noi non esistono ruoli corposi per donne della mia età. Certo, ho avuto una bellissima carriera, ma a questo punto vanno bene pure i ruoli piccoli per rimanere sulla cresta dell’onda. Alcune colleghe li rifiutano, io sono di un altro pensiero. Ad esempio con Metti la nonna in freezer (di Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi, nda) mi hanno sdoganato dall’essere il simbolo del sesso, finalmente! Sono contenta di fare la nonna, ma con la consapevolezza di essere ancora una bella donna, di classe. E quindi va benissimo anche se mi invecchiano.

Quindi non è ossessionata dal passare del tempo?
Accetto la mia età, basta che ci sia la salute.

Cos’è l’erotismo per lei?
L’erotismo è un’idea estremamente relativa e personale. Giace nella testa di ognuno, è il cervello che decide.

Ha eletto Jane Fonda a suo modello, cosa vi accomuna?
Siamo entrambe forti di carattere, non ci abbattiamo. Certo, non arrivo al suo lato battagliero, non è nella mia indole. In più presi ispirazione da lei, negli anni Ottanta, per portare l’aerobica nelle palestre italiane. Vado molto fiera di quel periodo della mia vita, ho portato la salute e il benessere alla donne italiane. Mica facevano ginnastica prima di me!

Tra i tanti grandi nomi con cui ha lavorato, che ricordo conserva di Ugo Tognazzi e di Monica Vitti?
Sul set di L’anatra all’arancia di Luciano Salce si facevano i dispettini, mettendomi in mezzo. Ugo mi diceva di aggiungere battute al copione e io rispondevo che Monica sarebbe poi andata fuori pista. Lei capiva che non ero io a fare questo, ma lui.
Non fu un’esperienza pesante, però loro erano due primedonne. Monica è stata la pioniera della commedia all’italiana, doveva proteggersi e infatti non voleva avere un’altra bionda accanto a sé, giustamente. Così mi tagliai i capelli e me li tinsi. E andò bene.

C’è qualche collega che stima?
Ammiro Fanny Ardant, Luisa Ranieri, Vanessa Incontrada… Se c’è un ruolo da nonna e loro devono essere mie figlie, va benissimo (ride, nda). Mi è sempre piaciuta Miriam Leone, ho avuto la possibilità di lavorare ancora con lei in Diabolik 3, che uscirà a gennaio e in cui faccio la contessa. Ecco, sono specializzata in nonne e contesse (ride, nda).