Era destino che prima o poi due capisaldi della «misteriologia» italiana, il caso Moro e la strage di Bologna, s’incontrassero. Il nesso, ipotizzato già dalla commissione Moro, è stato riproposto ieri dal presidente dell’associazione dei parenti delle vittime di Bologna Paolo Bolognesi. Secondo alcune testimonianze il bar Olivetti di via Fani era in realtà aperto il giorno del sequestro Moro. Per la verità la commissione ipotizza anche che il bar fosse stato fatto fallire apposta per essere chiuso facilitando così l’attacco. Non sarà un po’ stramba la scelta di far fallire un bar per garantirne la chiusura e poi riaprilo proprio per l’occasione? Inoltre le foto scattate subito dopo l’agguato immortalano un bar senza dubbio chiuso. Poco male: la commissione ha concluso che era «semiaperto». Sic!

Che c’entra con Bologna? Capita che il 2 agosto 1980 il proprietario del bar «semiaperto» si trovasse nel capoluogo emiliano. Gatta ci cova. Di sfuggita Bolognesi sostiene anche che il bar fosse al centro di un grosso traffico di armi. Oddio, erano armi «di scena», di quelle che si usano nei film, mica vere. Ma si potevano pur sempre modificare! Però per quel traffico, nel quale era in realtà coinvolta la consorte, il proprietario del bar non è stato neppure processato. Poco male. Si vede che aveva alte coperture.

Per quanto riguarda Bologna c’è poi una banconota tagliata a metà e rinvenuta 3 anni dopo a casa di Gilberto Cavallini, ex Nar attualmente sotto processo per la strage. Il numero di serie termina con le cifre 63: un segnale di riconoscimento tra agenti di Gladio? Si commenta da sé.

Non si dimentichi un biglietto a firma Maggi, appena condannato in via definitiva per la strage di Brescia, che parla di esplosivo da dare a «G.C.». Ma che Cavallini fosse rimasto legato ai vecchi ordinovisti, a differenza di Fioravanti che li aveva condannati a morte, è cosa nota già decenni.

Ultimo elemento «nuovo»: le 72 bombe Srcm rubate da Fioravanti all’esercito nel ’77. Vedi mai che il furto non servisse proprio a svuotare le bombe una per una e raggranellare così l’esplosivo per Bologna. Che però non è esplosivo militare (il che depone a sfavore anche della «pista palestinese» di Carlos, che usava invece esplosivo militare di ottimo livello).

Nulla di strano. In fondo proprio su elementi di questo genere e di questa credibilità è stata costruita la sentenza di condanna per i Nar.