Il governo del Bangladesh ha approvato ieri un inasprimento delle pene per il reato di stupro, rispondendo a una settimana di proteste da parte della società civile bangladeshi.

Il nuovo emendamento, che va a modificare la legge per la Prevenzione della Repressione di Donne e Bambini, porterà la pena massima per lo stupro dall’ergastolo alla pena capitale.

Nella conferenza stampa tenutasi ieri nella capitale Dhaka, il segretario di gabinetto Khander Anwarul Islam ha annunciato che la nuova misura, approvata dal consiglio dei ministri in videoconferenza, sarà ufficializzata nella giornata di oggi con un ordine esecutivo della prima ministra Sheikh Hasina.

Il governo bangladeshi ha varato la nuova norma dopo numerose manifestazioni che hanno interessato diversi centri urbani, compresa Dhaka. Migliaia di persone, soprattutto studenti e giovani donne, hanno sfilato per le strade urlando slogan come «impiccate gli stupratori» e «nessuna pietà per i violentatori» – riporta Al Jazeera – scontrandosi sistematicamente con le forze dell’ordine schierate dal governo Hasina.

A incendiare le polveri della rabbia popolare è stato un video condiviso agli inizi di ottobre sui social network che mostrava un gruppo di uomini mentre attaccavano una donna.
Identificati dal video, otto uomini sono stati arrestati.

Secondo le ricostruzioni delle autorità, divulgate dalla stampa locale, la vittima dell’abuso è una donna di 37 anni, residente nel distretto meridionale di Noakhali. La vittima ha raccontato alla polizia di essere già stata violentata da uno degli arrestati lo scorso anno, mentre un complice la minacciava con una pistola puntata alla tempia.

Gli abusi sono continuati fino ad arrivare al due settembre, quando il gruppo di uomini l’ha prima violentata e poi ricattata, obbligandola ad altre violenze e al pagamento di un riscatto per non rendere pubblico il video. Quando la donna si è rifiutata, il video è stato pubblicato.

Nonostante l’authority delle telecomunicazioni del Bangladesh abbia ordinato la rimozione del video da tutte le piattaforme social, il documento continua a circolare su Whatsapp.

La protesta, iniziata con una mobilitazione online fino alle manifestazioni di piazza degli scorsi giorni, si inserisce in una serie di mobilitazioni studentesche contro le violenze sessuali che da mesi infiammano le città del Bangladesh. Cortei di protesta e scontri con la polizia si erano già registrati a Syleth, nel nord del Paese, e ancora a Dhaka, all’inizio dell’anno.

Secondo un rapporto pubblicato la scorsa settimana da Ain o Salish Kendra (Ask) – organizzazione non governativa che si occupa di diritti umani e supporto legale per le vittime di abusi – tra gennaio e settembre 2020 sono stati denunciati in Bangladesh 975 stupri; in un caso su cinque si è trattato di stupri di gruppo.

Il bilancio prende in considerazione solo i casi coperti dalla stampa nazionale e denunciati alle forze dell’ordine.

In Bangladesh, come nel resto dell’Asia Meridionale, lo stigma sociale che subiscono le vittime di violenza sessuale rende più difficile denunciare gli stupri. È ragionevole stimare che le cifre evidenziate da Ask riflettano in minima percentuale l’ampiezza del problema nel Paese.

Per la legge vigente in materia – articolo 376 del codice penale, ratificato nel 1860, durante l’occupazione britannica – se la vittima è moglie dello stupratore il massimo della pena è ridotto a due anni di carcere, al pagamento di un’ammenda o entrambi.

Uomini, bambini, trans, «hijra» (nel subcontinente indiano, eunuchi, trans «male to female») e intersex non sono contemplati e non godono quindi di alcuna tutela legale in caso di violenza sessuale.