Embè?, terzo cd della Banda Elastica Pellizza, «è un ritorno all’indipendenza, al far musica in modo semplice e diretto». Comincia così, senza rete, il racconto di Daniele Pellizzari, voce chitarra e autore dei testi e delle musiche del gruppo piemontese: nudo e spogliato delle «esperienze poco felici» avute nel 2012 con la pubblicazione di Io sono, soprattutto «per via di una gestazione dell’album molto complessa, anche nel rapporto con la produzione». Distribuito come i precedenti dalla Incipit Records/Egea Music, Embè? ha perso dei primi lavori le collaborazioni illustri che, ora, osservate dalla prospettiva dell’ascolto delle nuove canzoni, risultano ancor più superflue. «Non ci sono più, questo è un cd autoprodotto a differenza degli altri. L’abbiamo pagato noi, insieme a un amico imprenditore fiorentino impiegato nel sociale. Io stesso ho lavorato per molto tempo come educatore in una comunità. Circa una decina d’anni. Ora sono fuori da quel mercato, non ho un lavoro fisso e per vivere faccio un po’ di tutto, dal vendere libri sulle bancarelle all’imbianchino».

Stilettate di vita quelle che Pellizzari, lancia in resta, cerca di trasmettere: «abbiamo registrato nello studio del nostro batterista senza l’assillo del tempo e influenze esterne; eravamo tutti rilassati e concentrati sui brani». Un lavoro: «artisticamente libero». E lo si avverte anche nel tentativo di recuperare influenze già presenti nell’ep d’esordio, Goganga, un titolo più che di indirizzo, quasi un manifesto di ciò che sarà Embè?. «Mi fa piacere il riferimento a una certa canzone d’autore. Sono cresciuto ascoltando Gaber, Jannacci, la comicità di Cochi e Renato». Anche la comicità stralunata di Mario Marenco (una delle voci storiche di Alto gradimento con Arbore e Boncompagni in radio, ndr) lo ha influenzato. Uno dei brani più dissacranti e ironici, Le forze disarmanti, lo cita esplicitamente.

Pellizzari ha 48 anni, figlio dell’emigrazione degli anni ’50 che s’insediava nella provincia di Torino: «ho saltato tutta la scena underground e new wave torinese degli anni 80 e 90. Mi piaceva il blues, preferivo ascoltare i Led Zeppelin e Bob Dylan». Nei suoi testi tanti riferimenti al quotidiano ereditati dai genitori di origini pugliesi. Ma ci sono anche riferimenti altri come il cinema o la fantascienza: «da adolescente insieme ai poeti e scrittori della beat generation. A vent’anni fui fulminato da Kerouac e da Burroughs. Ora leggo con fatica». Echi di queste letture s’avvertono nei testi, peraltro modernissimi nella svolgersi narrativo, restando ancorati alla rima: «mi rifaccio a Fabrizio De André; amo le forme originarie anche nella musica. Scrivo canzoni da trent’anni ormai e ho maturato con il tempo un mio stile. L’ho raggiunto con fatica, sono stato sempre severo con me stesso. Ho sempre tenuto a che le mie canzoni fossero piene di dignità».