Il governo italiano minaccia di rendere nota la lettera con cui l’Europa vietava modalità di salvataggio delle banche diverse da quella costata i risparmi a un mucchio di persone, ed ecco che quella lettera, il giorno dopo, spunta davvero, consegnata all’agenzia Reuters. Gliela avranno data gli italiani, per dimostrare che il disastro non è colpa loro, o gli europei, per provare che uno spazio di autonomia, pur se esiguo, c’era? Il mistero è in realtà secondario. Quel che importa è che la lettera, firmata dai commissari alla Concorrenza e alla Stabilità Margrethe Vestager e Jonathan Hill e consegnata il 19 novembre, tre giorni prima del decreto salva-banche, non contiene la parola «Verboten», proibito, e traveste l’ordine da considerazione tecnica, ma il senso è quello. Dunque è probabile che a farla filtrare sia stata Roma. Bruxelles, infatti, reagisce con un certo imbarazzo: «C’è una logica semplice: il sostegno pubblico deve arrivare solo in ultimo ricorso. Altrimenti le regole a difesa dei contribuenti potrebbero facilmente essere aggirate».

In concreto la lettera dissertava sul fatto che «se uno stato membro opta per lo schema di garanzia dei depositi per ricapitalizzare una banca, è soggetto alle regole Ue sugli aiuti di Stato. Se la valutazione porta a concludere che l’uso di questo schema è aiuto di Stato scatterà la risoluzione della direttiva Brrd». Non così se si tratta invece di «un puro intervento privato». La traduzione è secca: se il salvataggio passa per il Fondo interbancario ma su disposizione del governo, è aiuto di Stato. Verboten. Se le banche decidono di intervenire da sole, affari loro. Affari «privati».

Certo, la lettera si conclude con toni apparentemente meno ultimativi: «Pur rispettando il fatto che spetta alle autorità italiane determinare l’approccio e i metodi, è chiaro che la Commissione sarebbe sempre a favore di soluzioni private e basate sul mercato». Questione di forma e di bon ton, non di sostanza. E’ evidente che il governo italiano non avrebbe potuto fare a meno di piegarsi al diktat europeo, per quanto mellifluo in superficie. Tanto più essendo in attesa di un giudizio definitivo sulla manovra, appuntamento al quale sarebbe stato sconsigliabile presentarsi dopo aver ingaggiato un braccio di ferro estenuante sul salva-banche.

Del resto, a chiarire la situazione arriva, dalla stessa Ue, la bocciatura del salvataggio della Banca Tercas, nel luglio 2014: proprio perché il Fondo interbancario avrebbe in quell’occasione agito «per conto dello Stato italiano». La bocciatura, precisa subito il Mef, non avrà conseguenze negative perché è già pronto un fondo volontario del sistema bancario. Ma allo stesso tempo, sottolinea via XX Settembre, «risponde alle polemiche di chi diceva che il governo italiano avrebbe potuto scegliere il fondo interbancario per ricapitalizzare le altre quattro banche salvate».

Il nuovo round nell’incontro iniziato con l’attacco sferrato da Renzi a Bruxelles lascia pensare che non si tratti di una nuvola passeggera. Nessuno può negare al fiorentino una straordinaria capacità di reagire alle difficoltà con drasticità e determinazione. Non ha alcuna intenzione di lasciare che la sua immagine venga corrosa dall’incresciosa faccenda del salva-banche, e tanto meno di aspettare che il fattaccio si ripeta su qualche altro fronte. Dunque da un lato affronta i guardiani del rigore europei. Dall’altro lancia la controffensiva anche in Italia, con la proposta di una commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema bancario negli ultimi 15 anni dotata di poteri veri, e che avrebbe di fatto nel mirino Bankitalia e Consob, i controllori distratti. Dopo l’attacco iniziale, e dopo una risposta che i malpensanti considerano orchestrata con sapienza facendo filtrare notizie su presunte attività di insider trading al momento della riforma del sistema bancario nel gennaio scorso, la battaglia sembrava destinata a concludersi, con una pace dettata dalla deterrenza. Poi però il guaio si è rivelato troppo grosso per lasciar perdere, e Renzi ha deciso di attaccare a fondo.

Non piace a tutti l’idea della commissione d’inchiesta. La bocciano, da sponde opposte Casini e la minoranza Pd per bocca di Speranza: «Attenzione a non dare l’idea che la politica cerchi diversivi. Le inchieste le fa la magistratura. Servono buone leggi da farsi in parlamento». La replica, durissima arriva dal sottosegretario Zanetti, di Sc, il primo a proporre la commissione: «Tra i moderati che governano con Renzi non c’è spazio per chi non vuole una seria inchiesta sul sistema bancario».

A confortare Renzi nella sua controffensiva gli arriva una gradita notizia. L’Antitrust, in risposta a un’interrogazione del 5 Stelle Di Battista, nega che per la Boschi si profili un conflitto di interessi. La motivazione? «Non partecipava a quel consiglio dei ministri». Sembra una barzelletta. Non lo è.