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Banche «chiuse» e crack aperti

Banche «chiuse» e crack aperti

Eurozona e Gran Bretagna L’altra faccia della medaglia nelle lunghe fila di clienti. Nel 2007, Northern Rock fu nazionalizzata dal governo. E adesso spunta Goldman Sachs con il fondo Blackstone

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 24 luglio 2015

Non sono una novità le file dei correntisti davanti alle banche per prelevare denaro contante. Peraltro quelle viste in Grecia in queste settimane non sono neanche degne di nota. Contrariamente a quanto riportato da molti media, quelle banche erano e sono regolarmente aperte per tutte le operazioni ordinarie. Le misure di «chiusura» non hanno nulla a che vedere con l’apertura degli sportelli: servono soprattutto per impedire che un massiccio prelievo di contante e il suo trasferimento all’estero determini una sottocapitalizzazione degli istituti di credito con conseguente collasso del sistema creditizio greco.

Nessuno ricorda invece che nell’estate di otto anni fa, senza alcuna giustificazione apparente, cominciarono a formarsi file davanti agli sportelli di un’importante banca, la Northern Rock, quinta banca britannica nel mercato dei mutui immobiliari. Sotto l’incalzare di un’inchiesta giornalistica condotta dal «The Guardian» nell’estate 2007, le file si allungarono a dismisura. Si trattava di un evento eccezionale che non accadeva dalla fine dell’Ottocento. Gli analisti oggi concordano nell’attribuire al crollo di quella banca lo scoppio della crisi finanziaria globale, mentre il fallimento della Lehman Brothers, arrivato solo un anno dopo, ne fu solo la conclamazione.

L’allora governo guidato da Gordon Brown si vide costretto ad intervenire con misure straordinarie per garantire la liquidità necessaria ad impedirne il tracollo. Non ebbe successo, perché l’istituto di credito si trovava ormai ben oltre l’orlo della bancarotta. Lo stesso governo decise quindi di nazionalizzare la Northern Rock, nascondendo una serie di spregiudicate operazioni, a partire dalla cartolarizzazione di gran parte dei mutui immobiliari concessi ai clienti allo scopo di realizzare ingenti guadagni.

In sostanza, si faceva prestare denaro a tassi vantaggiosi da altre banche per poi concederlo, sotto forma di finanziamenti ipotecari, soprattutto a giovani coppie che volevano acquistare una casa.

Una volta sottoscritti, insieme alle immancabili assicurazioni sulla solvibilità del debitore, i finanziamenti venivano impacchettati con prestiti personali, trasformati in prodotti derivati e venduti ad ignari acquirenti nei mercati finanziari mondiali. Le offerte di guadagno erano allettanti e per questo molti caddero nel tranello. Si trattava di una gigantesca partita di giro alimentata dai mutui ipotecari che accompagnavano la bolla immobiliare. I mutui cartolarizzati però non venivano venduti a soggetti terzi. La cessione avveniva attraverso una «società veicolo» che aveva l’emblematico nome di Granite (granito), per evocarne l’estrema solidità, di proprietà della stessa Northern Rock. Al suo culmine si è trattato del più grande veicolo di finanziamento del genere in Europa.

A ricordare questo dettaglio è stato nelle settimane scorse Jill Treanor, sempre sul «The Guardian».

La società veicolo aveva sede nell’isola di Jersey: paradiso fiscale che possiede moneta propria (la sterlina di Jersey), sue regole fiscali e una propria giurisdizione. Il tutto comunque era ed è sottoposto alla sovranità monetaria del Regno Unito, come avviene in gran parte degli altri paradisi fiscali al mondo. I guadagni realizzati da Granite dovevano servire per aiutare le famiglie con figli affetti dalla sindrome di Down nella città di Newcastle. Questo almeno agli occhi del fisco inglese. In realtà, la relativa associazione non ha visto una sterlina e per 7 anni è andata avanti con pochi contributi volontari.

Dopo la nazionalizzazione, la Northern Rock è stata privatizzata solo per la parte «buona»: quella che prometteva di creare ancora utili con i soldi ricavati dal lavoro degli ignari sottoscrittori dei mutui. La parte «cattiva» è confluita nella UK Asset Resolution (Ukar), la cosiddetta bad bank della Gran Bretagna, ed è rimasta direttamente sul groppone non solo dei contribuenti inglesi, ma anche indirettamente su quello dei contribuenti della zona euro, moneta mai adottata nel Regno Unito. L’agenzia Reuters ha recentemente annunciato che è stata presentata al governo di David Cameron un’offerta di acquisto della parte «cattiva» della banca fallita.

È stato un consorzio in cui ci sono tra gli altri Goldman Sachs e Blackstone. Il primo è il colosso finanziario Usa che, secondo autorevoli inchieste giornalistiche, ha aiutato l’allora governo ellenico a «truccare» i conti della Grecia per farla entrare nell’euro, mentre il secondo è il più grande fondo d’investimento mondiale, presente nel capitale sociale delle maggiori banche italiane.

Entrambi i colossi, in questi anni di crisi, continuano a realizzare ingenti profitti con i derivati. Contrariamente a quanto molti sostengono, è il castello di economia di carta che dev’essere mantenuto con i nuovi sacrifici imposti al popolo greco e non solo.

Grazie ai derivati, ogni abitante della Terra (uomo, donna o bambino) oggi si ritrova indebitato per circa 28 mila dollari, anche se oltre la metà della popolazione mondiale ha un reddito inferiore ai 10 dollari al giorno. Cifre che anche in Italia stanno diventando drammatiche. Con l’ultimo aggiornamento, il debito pubblico è arrivato a 2.218,2 miliardi (quasi 37mila euro a persona), peraltro cresciuto nell’ultimo anno di ben 83,3 miliardi: cioè circa 1.400 euro a testa.

Tutto ciò avviene perché qualcuno è ancora convinto, tipo il signor Wolfgang Schäuble, che la ricchezza fasulla realizzata con i derivati e coi meccanismi alla Northern Rock, debba essere garantita a qualunque costo dai debitori che hanno sottoscritto i relativi contratti di finanziamento. Intanto i media non hanno altro da fare che occuparsi delle file nelle banche greche facendole risultare chiuse, mentre in realtà sono aperte.

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