Il fascicolo, per il momento, è vuoto: non ci sono indagati, non c’è ipotesi di reato. Ma la notizia che la procura di Ancona ha aperto un’inchiesta sui conti di Banca Marche è risuonata come un colpo di cannone nei già provatissimi uffici dell’istituto marchigiano. La settimana scorsa era finita con un venerdì nero: semestrale chiuso con altri 232 milioni di perdita – da aggiungere ai 526 già accumulati – e Banca d’Italia che ha imposto due commissari; settembre è cominciato con la guardia di finanza alle porte, per «acquisire documentazione» relativa agli anni 2011 e 2012.

I conti sono sprofondati, in appena un anno, a quota meno 800 milioni di euro, un numero che fa paura solo a pensarlo. Adesso, anche la favoleggiata cordata di imprenditori locali con uno spiccato senso del pericolo appare come un ombrellino da cocktail per fronteggiare uno tsunami, persino nell’ipotesi – rivelata dal manifesto alcune settimane fa – di un intervento da parte di «Mr. Tod’s» Diego Della Valle e «Mr. Winx» Iginio Straffi. Ricapitalizzazione o morte, questo è il ritornello: e allora tutti dentro, anche Francesco Merloni e Adolfo Guzzini, oltre a un numero imprecisabile di piccoli imprenditori disposti a dare una mano, con il serio rischio, però, di venire sbranati dagli squali. Dare l’assalto a una banca – anche se di dimensioni non colossali come quella delle Marche – è un’impresa per la quale avere il portafogli gonfio potrebbe non bastare.

Nel maledetto venerdì del commissariamento, poi, da segnalare anche un evento più unico che raro nella storia bancaria italiana: lo sciopero degli sportelli, a testimonianza del fatto che il malessere non è diffuso solo tra i correntisti, ma anche tra gli stessi dipendenti di Banca Marche, che mai come ora ritengono difficile immaginare un futuro radioso per il proprio posto di lavoro. Il consiglio d’amministrazione è sospeso, dietro al presidente – anche lui scelto, mesi fa, da Bankitalia – Rainer Masera, almeno per i prossimi due mesi, agiranno Giuseppe Feliziani e Federico Terrinoni, investiti dell’ingrato compito di esplorare i bilanci alla ricerca di una via d’uscita.
L’apertura dell’inchiesta da parte della procura di Ancona, a ogni buon conto, non è stata una sorpresa per la dirigenza della banca, che tra febbraio e marzo, inoltrò due esposti: uno sulle operazioni di leasing di dieci società, un altro su alcune posizioni di credito «attenzionate» dopo un’indagine interna portata avanti da uno studio legale assunto ad hoc.

La vera novità di giornata è il tempismo degli investigatori, che entrano a gamba tesa in questa delicatissima vicenda adesso, quando tutto è bloccato e la vecchia dirigenza ridotta all’impotenza. La lente della procura, poi, sembrerebbe puntata verso le cause del disastro odierno, che affonda le sue radici in una serie di operazioni spericolate soprattutto in campo edile. Sono in molti, infatti, a imputare al crollo di questo settore la più che precaria situazione del bilancio di Banca delle Marche: «Hanno investito troppo in quel senso – dice una fonte interna – e ora si ritrovano sommersi di crediti deteriorati». È proprio su questo filone che, soprattutto da destra, si sta scatenando la gran bagarre politica: c’è, insomma, chi lega l’eccessiva apertura verso l’edilizia a a delle precise scelte del governo regionale di centrosinistra, e – parole del consigliere di Fratelli d’Italia, Giulio Natali – a «trasversali alleanze massoniche».

L’ultimo sospiro è di gran lunga quello più preoccupante: c’è chi dice che la prima operazione dei due commissari sarebbe quella di vendere 47 sportelli alla Banca Popolare di Vicenza, con conseguenze imprevedibili per lavoratori e correntisti.