Tutto l’ambiente ne parla come un allarme rosso, ed in parte lo è. Si tratta dello stringato comunicato con cui il consiglio di amministrazione del Teatro di Roma ha salutato la città, alla sua ultima riunione, prima che alla scadenza del mandato il 2 dicembre prossimo, gli subentrino i nuovi membri nominati dai soci «proprietari» dell’ente, Comune e Regione (la Provincia è solvenda e commissariata), ovvero dalle nuove giunte, che come si sa sono tutte e due di sinistra rispetto agli illustri predecessori Alemanno e Polverini. Come saluto d’addio non passerà certo inosservato, visto che hanno fatto slogan di politica culturale e finanziaria dell’antico motto della rivista (reso imperituro da Bramieri) Bambole non c’è una lira!

Il problema lo conoscono tutti gli italiani, a cominciare da casa loro, e lo sanno bene anche coloro che hanno avuto modo di lavorare con la P.A. Dopo un modesto assaggino estivo, i rubinetti si sono chiusi per molti mesi o forse per anni: i crediti con la pubblica amministrazione non vengono ripagati, le illustri giunte precedenti hanno prosciugato i capitoli di bilancio con l’aspirapolvere. Quanto al teatro (oggi difficilmente in cima ai pensieri degli italiani), assolve alla sua funzione istituzionale di specchio, fedele fino alla sgradevolezza, della società da cui nasce. E infatti a Roma pullulano teatrini, anche nuovi, nati da vecchie cantine e trascorsi garage, ottima palestra per amatori e loro sostenitori; ma quelli istituzionali, riconosciuti dalle pubbliche amministrazioni centrali e regionali (ovvero ricchi di contributi talvolta anche discutibili) hanno il fiato corto, anzi cortissimo.

Nuvole nerissime si sono agitate fino all’inizio della stagione sui due principali teatri privati (Eliseo e Quirino), e nessuno riesce a capire quanto potranno resistere. Quelli medi si arrabattano senza rosee sicurezze. Quelli ufficiali e pubblici vivono la doppia incertezza delle cariche da rinnovare e delle casse vuote. Il cda dell’Argentina ha dichiarato ieri che a causa dell’insolvenza della Regione Lazio, potrà pagare stipendi e spettacoli fino a fine anno, poi si aprirebbe il baratro. Comune e Regione non solo non sganciano i soldi (quasi sei milioni mancano dal solo Zingaretti), ma non hanno neanche dato il placet ai bilanci di previsione per il 2014. Buio completo. Unica consolazione per il pubblico romano, è che potrà vedere e rivedere il direttore Gabriele Lavia, che prima di andarsene a Firenze (dove pare sia destinato alla Pergola), dalla settimana prossima sarà in scena all’Argentina fino a dicembre inoltrato.

Il grido di dolore, che suona anche da ultimatum, è stato comunque lanciato. Bisognerà capire se l’atteggiamento duro degli enti territoriali sia dovuto a un effettivo deserto di risorse, che non fa certo loro onore, neanche nonostante le spese pazze e poco limpide dei predecessori. Oppure a noncuranza e approssimazione, guardando al modello centrale del governo, la cui legge di stabilità ogni giorno si arricchisce di instabili previsioni sfasciate: prova ne sia il comportamento burlesco del comune e dei suoi assessorati nell’assegnazione e nella solvibilità dei contributi prima promessi e poi decurtati alle associazioni culturali.

Oppure ancora (potrebbe sembrare perfidia, ma è solo rilevazione statistica) che il problema dei nuovi incarichi sia talmente complicato, forse inestricabile, comunque impossibile a essere condiviso tra i famelici partiti, e che la chiusura dei rubinetti finanziari suoni intanto come ingiunzione di sfratto a coloro che fino ad ora hanno occupato quei posti, prima di giocarsi a morra i nomi nuovi. Si sa che i rapporti della sinistra al potere con i propri amministratori della cultura sono quasi sempre traumatici, dettati dal favore, dai salotti e dalle amicizie più che dal merito e dalle capacità. A Roma per le sue istituzioni culturali si sa che ci sono candidature pregevoli e rispettabili, ma i nomi che girano sui giornali non sono solo repellenti, sono soprattutto ridicoli. Speriamo bene che il sipario dell’Argentina continui a sollevarsi anche dopo capodanno.

E che non finisca come a Cagliari, dove il sindaco Zedda, arrivato come speranza da Sel, ha fatto uno sbaglio dopo l’altro, dall’attribuzione molto discutibile dei suoi contributi, alla vergogna eclatante del suo Teatro Lirico, dove ha voluto imporre contro il parere di tutti una sua candidata alla sovrintendenza, che proprio in questi giorni è stata fatta decadere, per le vistose irregolarità, dal tribunale amministrativo.