Dallo spring break alla mezza età, dal romanzo di formazione all’allegoria filosofica, da Judy Garland a Buster Keaton, da Gucci Mane a Jimmy Buffett, da James Franco con i denti di metallo a Matthew McConaughey vestito da donna.
L’ultimo racconto morale di Harmony Korine si svolge ai confini del mondo, lungo l’esile filo d’asfalto e isole che collega Miami a Key West, sullo sfondo di un infinito turchese, in una nuvola di benevola, depravata, euforia. La palette caramella e la luce amata dai pittori della pop art che spesso, da New York andavano a svernare in Florida, sono gli stessi di Spring Breakers (anche il direttore della fotografia, il francese Benoit Debie, abituale collaboratore di Gaspar Noé), ma al mood infernale del precedente film di Korine qui subentra il sorriso beato e inscalfibile di Moondog (McConaughey), celebrato poeta di un libro solo, che sperpera il suo genio e il suo tempo tra i fumi dell’alcol e quelli della marijuana, e all’insegna di un credo in cui what feels good is good e all sex is good sex.

COME l’orticultore Earl Stone, in Il corriere -The Mule, Moondog è un eroe in completa controtendenza con il nostro tempo – spregiudicatamente edonista, amorale, leggero, restio alle responsabilità, ridicolo. Ma Korine, come Clint Eastwood (il suo regista favorito: lo definisce «la carta d’identità dell’America»), non è uno da film a tesi. La sua resistenza al pensiero unico (di qualsiasi segno esso sia) non è un principio ma una vocazione cha ha liberamente coltivato fin da piccolo. Anche lì un’ affinità con Eastwood, di cui ama film meno iconici e più buffi, come Filo da torcere (di cui è protagonista, la regia è di James Fargo, ndr) o quelli più ellittici e violenti, come Il cavaliere pallido.

Tra le influenze che hanno segnato il suo cinema, Korine cita spesso i documentari di suo padre Sol, ritratti del Sud e dei suoi musicisti, realizzati per la Pbs. Quell’attenzione per i personaggi e la cultura meridionale dei margini erano presente nei film che Harmony ha girato in Ohio e Tennessee, dove ha vissuto a lungo (Gummo, Julien Donkey-Boy e Trash Humpers).

AL CONFRONTO con l’acqua ferma, i boschi sparuti, la suburbia povera dell’Appalachia, il salto a Miami è uno shock cromatico e sociale. Ma l’amore per le crepe (della vita) piuttosto che per le superfici smaltate si ritrova intatto. Un omaggio alle commedie alla marijuana di Cheech e Chong che vedeva da ragazzo, Moondog -mi ha detto Korine- è un frullato di fricchettoni tipici che gravitano intorno ai moli di Key West e che lui ha conosciuto negli ultimi anni. A quell’allegro relitto della controcultura, con le pelle bruciata dal sole e i riccioli alla Robert Plant sbiaditi dal sale, McConaughey aggiunge una dimensione «meta» (la sua fama di party boy) e una fisicità da commedia del muto – il suo corpo in perenne stato di instabilità, una calamita per incidenti: salti in mare, voli in bici, scivoloni in piscina, evasioni rocambolesche… Un comica tropicale esagerata e frenetica, che Korine e il suo attore hanno coreografato ispirandosi a Keaton e ai fratelli Marx.

Qualche centinaio di chilometri a nord della barchetta dove Moondog vive e dove non sta scrivendo il suo prossimo capolavoro, è sua moglie Minnie (Isla Fisher), ereditiera di non si sa bene quale fortuna, che se la spassa con champagne e Snoop Dogg in una Mcmansion di oro e cemento affacciata sulla Bay Byscaine. Alla vigilia del matrimonio della figlia – con un ragazzo per bene e noiosissimo – Minnie convoca Moondog, che nel ruolo di padre della sposa si rivela, come prevedibile, una catastrofe. Harmony Korine non è noto per le sue storie d’amore – eppure, quella tra Minnie e Moondog è sia delicata che credibile. E torna nel film (anche dopo che Minnie scompare dalla trama con un addio violento e commovente), come il ritornello in una ballata per cuori selvaggi.

MINNIE non ha dubbi che Moondog sia un brillante artista; così sua figlia, il suo agente (Jonah Hill), l’amico, fumatissimo anche lui con cui lo cornifica (Snoop Dogg, noto stoner nella realtà), e il capitano di una barca per escursioni turistiche che non sa distinguere gli squali dai delfini (Martin Lawrence, in una delle sequenze più divertenti). Il fatto che lui sia così poco interessato a coltivare quel dono è parte del gioco del film: l’arte è un mistero sublime che non va preso sul serio, ci dice Korine; che però è ossessivo nella cura visiva e sonora dei suoi lavori, gira in 35 millimetri e punteggia il suo drogatissimo tour de force di citazioni di DH Lawrence, Walt Whitman e Richard Brautigan, poeta californiano che ama e conosce indirettamente (sua madre puliva la casa di Brautigan quando era bambino) e che gli ricorda Moondog. Lavorando contro il controllo imposto dalla (sua) scrittura, Korine imprime al film il ritmo di una poesia beat, o di una canzone sgangherata che avanza, peripateticamente, come inseguendo una nuvola di erba.

«Cinema liquido» è un termine che Korine aveva coniato per Spring Breakers, e che si adatta benissimo anche al nuovo lavoro. lnvece delle minacciose sonorità elettroniche di Skrillex e Cliff Martinez, però, qui alla colonna sonora (insieme a Snoop Dogg) è il solare country caraibico di Jimmy Buffett, l’autore di Margaritaville, e un altro artista che, come Korine, è arrivato a Miami da Nashville. La mitologia del suo immaginario canoro – anche se in chiave decisamente più depravata – attraversa il film.

OGGETTO intenzionalmente caotico, e bizzarramente saggio (come spesso risultano i suoi film) The Beach Bum è il lungometraggio più scritto che Korine ha mai realizzato, oltre che quello più costoso. Finanziato da Vice – come Spike Jonze Korine è un loro consulente artistico- il film sembra una celebrazione del mantra dei vecchi tempi dell’irriverente gruppo mediatico newyorkese, prima del giro di vite di #MeToo. Dopo la prima mondiale ad Austin, in occasione di South By South West, prevista questo week end, The Beach Bum uscirà in Usa a fine marzo, distribuito da Neon.