Nella storia del cattolicesimo novecentesco c’è un sentiero stretto e poco battuto, che però ha prodotto un pensiero denso e vitale. Si tratta delle strade percorse da credenti «obbedienti in piedi» i quali hanno mantenuto sempre una fedeltà critica alla Chiesa, restando però in comunione con la gerarchia ecclesiastica. Fra questi Ernesto Balducci, a cui Pietro Domenico Giovannoni dedica un volume che analizza in particolare gli anni Settanta, durante i quali si sviluppano le riflessioni sulla politica e sulla pace («Io amo il futuro». Ernesto Balducci e la pace alle soglie del terzo millennio 1971-1981, Nerbini, pp. 302, euro 35).

È in quel decennio infatti che Balducci, dopo aver collaborato con il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, difeso l’obiettore di coscienza cattolico al servizio militare Giuseppe Gozzini e attraversato il Concilio Vaticano II e la contestazione cattolica, si sofferma su due temi: fede e rivoluzione, fede e scelta di classe. Due scelte inevitabili per l’autentico «uomo di fede», da praticare secondo una prassi di «liberazione» a tutto tondo: liberazione dalle strutture di sopraffazione e di alienazione capitalistiche, ma anche liberazione dalla morte e dal peccato, senza ridurre la fede a mera tensione morale.

AL PASSAGGIO DI DECENNIO, la riflessione balducciana si focalizza sulla pace. Non un tema nuovo per lo scolopio, secondo cui la guerra del Vietnam rivela sia l’iniquità del sistema occidentale sia la subalternità della Chiesa cattolica all’atlantismo. Ma che assume la massima urgenza quando la «distensione» va in crisi, con l’invasione sovietica dell’Afghanistan e gli euromissili Usa. Si tratta allora, secondo Balducci, di disvelare il reale «stato di pericolo» per il mondo, sconfiggere la «rassegnazione fatalistica delle masse», far prevalere la «razionalità progettuale» rispetto alla «razionalità deterministica dell’equilibrio del terrore». E lavorare al sogno della costruzione dell’«uomo planetario», per scongiurare la fine dell’umanità. Ovvero quell’apocalisse nucleare che qualche decennio prima aveva paventato anche don Lorenzo Milani, di cui è appena uscita una nuova biografia dello storico Alberto Melloni: Storia di μ. Lorenzino don Milani (Marietti, pp. 207, euro 25).

La riflessione sulla guerra e sulla pace attraversa anche la multiforme vita politica e religiosa di Giuseppe Dossetti, raccontata da Luigi Giorgi: Giuseppe Dossetti. La politica come missione (Carocci, pp. 270, euro 27). Docente di diritto canonico, partigiano disarmato a capo del Cln di Reggio Emilia, padre costituente, deputato e dirigente della Dc spesso in contrasto con De Gasperi senza essere un cattocomunista, Dossetti fu poi prete, collaboratore del cardinale di Bologna Giacomo Lercaro – leader del fronte progressista al Concilio Vaticano II -, monaco e infine difensore della Costituzione repubblicana di fronte alle ipotesi presidenzialiste dei nuovi vincitori Berlusconi-Fini-Bossi – rilanciate oggi dai loro eredi. Morto nel 1996, è sepolto a Casaglia di Monte Sole, insieme ai martiri della strage nazifascista di Marzabotto.

ANCHE PER DOSSETTI, la guerra del Vietnam interroga la coscienza dei credenti. «La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male da qualunque parte venga: la sua via non è la neutralità ma la profezia», disse Lercaro nell’omelia del primo gennaio 1968, chiedendo la fine dei bombardamenti Usa sul Vietnam e dovendo lasciare poi Bologna anche a causa di questo intervento, indigesto al Vaticano. Un’omelia minutata proprio da Dossetti, che due anni dopo rilancia, criticando la seconda visita di Nixon in Italia. E ancora Dossetti – che frattanto vive con la propria comunità monastica fra Italia, Palestina e Giordania – nel 1982, all’indomani del massacro di Sabra e Chatila, scrive al premier israeliano Begin, scagliandosi contro le operazioni militari di Tel Aviv: «Non solo annientare la forza militare dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, non solo terrorizzare i palestinesi ovunque siano e costringerli alla fuga e alla dispersione, ma pervenire e imporre al Libano una pace e un ordine israeliani». Oltre quarant’anni dopo, la storia si ripete.