Che nel cattolicesimo italiano militasse una delle falangi più nutrite della resistenza all’aggiornamento pastorale in corso nella Chiesa è emerso chiaramente dalla concitata fase preparatoria del Sinodo dei vescovi e dal deludente documento conclusivo. Ieri è arrivata l’ulteriore conferma con la prolusione del presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, pronunciata all’assemblea generale dei vescovi riuniti ad Assisi. Non ci sono davvero più dubbi sulla netta distanza che separa oggi l’episcopato italiano dall’immaginario che si sta affermando attraverso il nuovo papa.

Con uno stile che riporta la memoria agli interventi a gamba tesa del suo predecessore, Camillo Ruini, contro l’allora governo Prodi, Bagnasco ha tuonato verso chi, in maniera irresponsabile, intende «indebolire la famiglia, creando nuove figure» per «scalzare culturalmente e socialmente il nucleo portante della persona e dell’umano». Il riferimento è alle nozze tra persone omosessuali e, più specificamente, alla trascrizione nei registri comunali dei matrimoni omosex celebrati all’estero: un’iniziativa definita un «distinguo pretestuoso che ha l’unico scopo di confondere la gente» e che si presenta come «una specie di cavallo di Troia di classica memoria». Tradotto, un no esplicito all’iniziativa promossa dal sindaco di Roma Ignazio Marino e da altri primi cittadini sulla quale la Cei era già intervenuta poche settimane fa con una dura condanna. Allora i vescovi avevano parlato di «una scelta ideologica» volta a equiparare il matrimonio «ad altre forme che ad esso vengono impropriamente collegate». Dopo aver ricordato che i figli «non sono oggetti né da produrre, né da pretendere o contendere» e che «hanno diritto a un papà e una mamma», Bagnasco è tornato sul fattore giuridico invocando la Costituzione come garanzia e lasciando quindi ad intendere che su matrimoni e adozioni la Cei è pronta a giocare la carta del vulnus istituzionale.

Ma a chi parla Bagnasco? Che il referente principale sia la politica va da sé e lo ha ripetuto lo stesso presidente della Cei nel suo appello a una «rifondazione» del sistema italiano. Al governo, che, stando alle parole del premier Renzi, si appresta a presentare all’esame del senato la proposta di legge sulle unioni civili alla tedesca, Bagnasco invia un ammonimento che ha il sapore di una chiusura preventiva. Ai politici cattolici presenti nei diversi gruppi parlamentari i vescovi palesano i punti critici con i quali dovranno fare i conti ribadendo che la chiesa non intende farsi da parte.

Se poco o niente sembra essere cambiato nel modo in cui la Cei gestisce i rapporti con la politica, questa impostazione non può che risultare oggi particolarmente stridente con i continui appelli del papa a una chiesa aperta al confronto con la secolarizzazione e con la trasformazione della società: una chiesa «ospedale da campo» e non più partito politico o fortezza di conservazione. A questo scopo è stato convocato il Sinodo, il cui stesso svolgimento ha aperto una discussione nel cattolicesimo mondiale che è destinata a proseguire. Il campo su cui si gioca oggi la partita non è il parlamento, ma la stessa Chiesa: nelle parrocchie, tra i credenti. Anche i vescovi italiani dovranno farci i conti.