Nell’estate del 1979 era facile imbattersi nel nuovo album di Donna Summer: Bad Girls era sexy, pulsante, pieno di ritmo e melodie accattivanti: tutto quanto ci si doveva aspettare da un album disco. Ma non solo. Bad girls – che ha appena compiuto quarant’anni «celebrati» dalla Universal con la ripubblicazione in un doppio vinile rimasterizzato con l’aggiunta della versione demo del pezzo che intitola la raccolta – era l’inevitabile approdo della regina dei club che con cinque dischi – realizzati a cavallo fra il 1975 e il 1978, era ormai l’indiscussa «numero uno» del genere. Una sequenza ininterrotta di hit: da Love to Love You Baby a I Feel Love inserito nel caleidoscopico I Remember Yesterday (1977) passando dalle tonalità in falsetto dei suoi primi successi al canto spiegato su altissime note di Last Dance – premio Oscar nel 1978 per Thank God it’s Friday! – e della fascinosa suite Mac Arthur Park, cover disco del classico di Jimmy Webb.

UN DOPPIO album – il terzo consecutivo dopo Once Upon a Time (1977) e Live and More (1978) – che dimostra l’estrema versatilità e affiatamento del team che circonda Donna – Giorgio Moroder e Pete Bellotte in testa – con cui è assurta a vera e riconosciuta pop star mondiale. Moroder in un’intervista concessa al giornalista Brian Chin nel 2003 spiegava: «Il canto sexy e in falsetto di Love to Love You Baby è stato un po’ il marchio delle prime produzioni. Non era facile far arrivare al pubblico il fatto che Donna avesse una voce piena e molto potente».
Bad Girls – copertina iconica ideata dalla stessa cantante, scatti opera di Harry Langdon – è il disco che riporta definitivamente l’artista dalla Germania e dagli studi di Monaco dove era partita la sua scalata in cima al mondo – alla «sua» America. Una raccolta che rappresenta l’ennesima evoluzione del suo sound ma che si arricchisce di r’n’b, di fiati e rock ballads inserendole in un contesto fortemente disco – la futuristica facciata elettronica con Our Love, Sunset People, Lucky – diverse anime che si fondono completamente senza forzature. «La band – racconta il produttore altoatesino – era quella con cui lavoravo a Monaco. Keith Forsey, il batterista inglese che poi ha prodotto Billy Idol e i Simple Minds. Harold Faltemeyer che mi affiancava ai sintetizzatori e che aveva lavorato con me su I Feel Love e sulla colonna sonora di Midnight Express. E poi si aggiunsero musicisti losangelini, come Greg Mathieson alle tastiere, Jeff Baxter che fa quell’incredibile solo di chitarra su Hot Stuff». Già, Hot Stuff: sui quattro quarti della disco – accentuati dal pesante drumming di Forsey – Donna canta con urgenza e forza che la riporta agli esordi con i Black Crowes, la sua band adolescenziale con cui si cimentava in brani rock, le dure esistenze della «cattive ragazze» raccontate nei quindici brani del disco. Donna autrice di buona parte dei testi – abilità compositiva e poetica che metterà a frutto in molti dei suoi lavori negli ’80 – e delle musiche: proprio Bad Girls che segue in scaletta l’apripista Hot Stuff, è un suo brano proposto anni prima a Neil Bogart – il discografico – che le consiglia di affidarlo a Cher. Donna rifiuta e lo mette da parte, lo riutilizzerà in questo disco con il successo che sappiamo.

«ERANO SEDUTE di registrazione intense – sottolinea Moroder a proposito delle session tenute da gennaio per tutto il marzo 1979, quindici pezzi, tante firme coinvolte – così ci dividevamo il lavoro: mentre io registravo le parti vocali con Donna, Pete registrava nello studio accanto le basi per un altro brano. Ma avevamo pienamente padronanza del nostro sound, eravamo sempre in sintonia. Donna poi era una fantastica artista, è sempre stato facile lavorare con lei. Era capace di completare due o tre brani al giorno, facilmente. Non si stancava – né annoiava mai». Un’artista versatile e completa che dagli orgasmi multipli di Love to Love You Baby e anche dopo il tramonto della febbre del sabato sera, dimostrò di saper mutar pelle mantenendo anche negli ottanta un ruolo di assoluta preminenza nell’ambito della pop music.