Il titolo del settimo album dei Bachi Da Pietra si presta al contesto che stiamo vivendo malgrado, come già per altri dischi, fosse stato praticamente pronto prima della pandemia. Reset (Garrincha Dischi) esce a ben sei anni da Necroide. Come in passato, il duo Succi/Dorella non è rimasto immobile a nessuna istantanea che immortalasse il blues minimalista, il black metal o il folk rock che avevano già percorso, producendo pure in questa occasione una creatura scivolosa, non avvezza alle definizioni. Resettare quindi: nuova etichetta e booking, il duo diventa trio con l’entrata di Marcello Batelli (basso, synth) dei Non Voglio Che Clara. Testi e voce sono come sempre di Giovanni Succi: «È stata una casualità temporale, dare un nuovo inizio è un discorso più generale legato all’umanità. Sembra sempre che ci sia un disegno che metta tutto al suo posto ma la pandemia non c’entra. Siamo cambiati, la musica e la scrittura rispecchiano la vita e l’essere vivi. Non vedo a cos’altro ci si debba ispirare. La band è sempre in cerca di una sfida, siamo dei vermi mutanti che cercano di incidere la pietra, chi lo sa se voleremo mai, ma intanto c’è da mordere la pietra…».

NEL DISCO ci sono diversi spunti sulle storture del mondo della musica, per esempio in Ciao pubblico o Bestemmio l’universo dove risuona una strofa non nuova, “l’avrei fatto più commerciale, più easy”: «L’aria di idiozia che aleggia da venti anni ci porta all’atteggiamento della frase che citavi. I BDP hanno deciso di rispecchiarlo al di fuori delle metafore. Le nostre canzoni sono sempre state concentrate sul presente, i temi politici non sono mancati come in Non io, Servo, Fosforo bianco democratico e così via, la metafora della narrazione le rendevano un po’ esoteriche. Con Reset ho provato a dare un taglio diverso alla scrittura, dichiarare la nostra posizione di pseudo insetti nei confronti del mondo umano». In Il rock è morto la sperimentazione di un rock libero è messo in antitesi a quello reazionario dei puristi. I BDP hanno sempre navigato in acque indipendenti, con i relativi rischi: «È un inno di battaglia! Non le mando a dire, i rockettari odierni spesso sono un pubblico conservatore, personalmente sono sempre andato alla ricerca di stimoli che disorientassero ciò che mi piaceva. L’andazzo non sembra più quello, dal rinchiudere tutto in compartimenti stagni si è fatto il giro, addirittura sono gli stessi ascoltatori che si chiudono in compartimenti stagni. Si chiamano schemi. Se pensi, il più grande gruppo rock mai esistito, i Beatles, era un gruppo pop. Non c’è genere musicale che i Beatles non abbiano seminato, perché non farlo più? La storia recente insegna che più sei fedele agli schemi che ti sei dato e più hai successo, in questo senso abbiamo sempre fatto un passo in controtendenza assoluta, se vuoi è ciò che racconto nel brano Pesce veloce del Baltico. A un certo punto devi fare i conti con l’evidenza, se vuoi il mare aperto puoi rischiare le pinne e non fare successo».

CI SONO TRACCE più aperte come Umani o quasi, Fumo o un pezzo dal taglio pop come Meriterete (un trojan lo definisce Giovanni), meno claustrofobici di come ricordavamo i BDP, proprio per evitare esercizi di stile. Sul futuro torna l’ottimismo di uno che cantava “né speranza né paura” (in Fessura dell’album Quintale): «Sono come l’insetto stercorario, spingo la mia palla di merda, gli egizi dicevano che arrivava fino al sole a schiaffeggiare il creatore e c’hanno fondato una religione. Non lo credo, mi sa che resto a spingere la palla di merda. Aspettare i tempi migliori non serve, non arrivano mai».