Un assaggio delle capacità della BabelNova Orchestra l’abbiamo avuto lo scorso febbraio a Sanremo, quando sulle note di Ennio Morricone accompagnarono Dargen D’Amico. Nata sulle ceneri della disciolta Orchestra di piazza Vittorio, pubblica in questi giorni il primo album – Magma – che presenterà domani sul palco di Testaccio Estate a Roma (ore 21.30, ingresso libero) nell’ambito delle iniziative organizzate da Refugees Welcome Italia per la Giornata Mondiale del Rifugiato. Disco estremamente eterogeneo, inevitabilmente ricco di contaminazioni culturali world e riferimenti alla cultura pop e dance. Gli artisti arrivati più di venti anni fa si reinterpretano e rileggono questo diverso magma culturale in cui la musica è cambiata, anche attraverso l’inserimento in organico di strumentisti più giovani, di seconda generazione. A guidare l’ensemble il contrabbassista Pino Pecorelli, passato fitto di collaborazioni prestigiose – tra le tante – con Avion Travel, Mario Martone, Matthew Herbert, che racconta il senso dell’intera operazione.

Mille contaminazioni ma soprattutto un album fortemente ispirato dal punto di vista compositivo…

Mi fa molto piacere sentire che quello che avevamo in mente alla fine arriva. BabelNova è un gruppo fatto di musicisti che provengono da tante parti del mondo. Non è soltanto una diversa provenienza geografica quello che la caratterizza, ma il fatto che veramente ognuno ha radici, gusti e percorsi diversi.

BabelNova è una derivazione della disciolta Orchestra di Piazza Vittorio. Cosa è successo a quell’esperienza e che cosa si propone effettivamente il nuovo ensemble che in qualche modo ripercorre quelle tracce?

Sono passati vent’anni non soltanto all’interno del gruppo, ma anche nel mondo che noi andiamo a raccontare. Quella era un’esperienza multiculturale che dava il segno dell’arrivo della diversità nella società italiana. Ora, sia per l’anagrafe degli interpreti, ma soprattutto per un diverso contesto sociale raccontiamo di un’Italia compiutamente multietnica, davanti alla quale però la politica volta lo sguardo. Diciamo che l’orchestra è stata un grandissimo contenitore dentro cui c’erano tante realtà, e che si è inevitabilmente svuotato nel momento in cui il direttore artistico Mario Tronco è uscito dal gruppo. Un percorso che si è concluso con la morte di Leandro Piccioni, lui era il simbolo di tutto.

La Babele è anche lessicale, grazie all’utilizzo di lingue diverse: arabo, inglese, spagnolo. Nell’Orchestra di piazza Vittorio alcune liriche risuonavano di una sorta di esperanto, una lingua inventata…

Molto spesso nasce prima la musica delle parole, per cui è il cantante che in qualche modo si porta a casa il brano e crea il testo. C’è molta autobiografia nella scrittura, molti dei testi hanno una lettura più sentimentale perché si riferiscono a amori che stanno simbolicamente nei Paesi da cui si è partiti, sono intrisi di malinconia. Il gruppo non ha soltanto una visione, come dire, eurocentrica ma il riferimento è verso i luoghi di provenienza. La presa in giro ironica dei poteri forti, è in qualche caso riferita alle presunte democrazie africane, dove invece lo stato di polizia è ancora fortemente presente.

Sul mondo e sull’Europa soffia un inquietante vento di destra estrema. La musica e la vostra esperienza sono un segnale importante, ma non basta…

La società è più avanti della politica, però è vero anche che quando si tratta di votare emergono le paure su cui i politici continuano a fare leva. Ci è capitato in tanti anni di musica assieme di suonare anche in contesti dove, se leggevamo i risultati delle elezioni, dicevamo prima di salire sul palco ’ma oggi qui ci manganellano’, poi invece te li ritrovavi a ballare.

Avete fatto diverse esperienze nelle carceri.

Sì, ai tempi dell’Orchestra di piazza Vittorio abbiamo fatto anche percorsi educativi nelle carceri, per darti un’idea dove spesso ci capitava di avere davanti platee di persone che sapevamo non avere idee politiche molto in sintonia con noi. La mancanza generale è di carattere culturale. L’Italia è un Paese che si sta appiattendo e inaridendo terribilmente, dove si cerca di raccontare che la cultura è solo disimpegno. In realtà la gente ha bisogno di molto altro.

Domani sarete protagonisti di un concerto che ha anche una forte valenza simbolica perché viene celebrata la Giornata del rifugiato.

È il nostro primo concerto e non potevamo trovare occasione migliore, perché suonare per una realtà come Refugees Welcome Italia – che opera in mezzo a mille difficoltà – è la cosa giusta al momento giusto. Vorremmo che la gente torni a casa portando ancora con sé l’idea che mischiare realtà e culture produce sempre risultati positivi.