Ahamada Smis si porta sul palco la sua anima meticcia. La interpreta con i pigmenti della pelle, con un doppio passaporto e con un retaggio sonoro fatto d’influssi concentrici, pieno di smerigliature e rimbalzi. È nato nelle Isole Comore, un pugno di terra nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, parla francese e comoriano, ma canta anche in inglese e in qualche altro idioma creolo. A Marsiglia, che è diventata da molti anni il suo secondo porto d’approdo, deve molto. E il concerto al Babel Med è servito a presentare il suo nuovo album Origines, ma anche a fare il punto sulla complessità della sua ricerca, fatta appunto di ritorno alle origini e della scoperta di radici nuove, come la slam poetry che ha da tempo affiancato il suo rap nell’esposizione di liriche sempre molto consapevoli e molto poetiche. Nella sala Cabaret, che è uno dei tre spazi adibiti al live all’interno del Babel Med, si è presentato in trio. Al suo fianco un altro musicista delle isole Comore (Soubi: canto, gaboussi, dzenzé) e uno di Zanzibar (Mohamed Issa Matana: canto, violino, oud, ngoma). La musica delle Comore trattiene e sintetizza in un mèlange particolarissimo influenze arabe, indiane, africane ed europee: è una specie di caravanserraglio esemplare cui si aggiunge, nel caso di Smis, anche il retaggio afroamericano.

C’erano molti altri set concertistici significativi nel cartellone del Babel Med di quest’anno, ma forse quello del musicista comoriano trapiantato a Marsiglia è stato il più emblematico. Babel Med è infatti un appuntamento decennale che ha fatto della tutela delle diversità e del dialogo tra le culture un vessillo programmatico e in questo senso il comoriano è una sorta di spot vivente, ispirato e consapevole.

Alla decima edizione si può cominciare a fare un bilancio storico di questa manifestazione che mette insieme l’incontro tra addetti ai lavori, la proposta live (attraverso una trentina di showcase in tre giorni) e la riflessione sullo stato della musica (in particolare su quello della musica World) attraverso conferenze, tavole rotonde, speed meeting, anteprime cinematografiche di taglio musicale. Ed è un bilancio certamente positivo con il fiore all’occhiello di una proposta musicale davvero eccellente frutto della selezione di trentuno show, tra i mille e più che si sono ufficialmente proposti.

Attestato di maturità

Per un progetto partito come fratello povero del Womex e diventato anno dopo anno una variante credibile (piazzata strategicamente agli antipodi nel calendario) rispetto all’altro grande appuntamento riservato in Europa agli aficionados e ai professionisti della World music, il Womex appunto, si può parlare di «attestato di maturità», sia pur nel frangente critico e sofferente del mercato musicale. Se dovessimo segnalare qualche altro nome nella frenetica successione di live con cui Marsiglia ha celebrato il Babel Med 2014 dovremmo per forza iniziare da un paio di set che hanno incorniciato la serata finale e che erano stati approntati appositamente, come progetti speciali, per il palinsesto della kermesse: da una parte la magia del Duo Sabil (oud e percussioni) affiancata dal Quator Béla (un quartetto d’archi classico) in un dialogo tra oriente e occidente e tra folk music e matrice accademica, dall’altra il canto e i tamburi occitani de Lo Còr de la Plana messi insieme alle voci e alle tamorre delle campane Assurd e della salentina Enza Pagliara.

In entrambi i casi, il percorso che non celava insidie e possibili fraintendimenti si è risolto in un vero e proprio scambio sincretico, in una galvanizzante magia e in una tavolozza di soluzioni e di spunti che speriamo venga ulteriormente fissata ed esplorata anche in altri contesti e in future incisioni. «Colpi al cuore» concertistici anche per le kenyote Gargar, guardiane della tradizione Somalis(cui si perdona qualche ingenuità di arrangiamento, ma che hanno cesellato un mix di ritmi e melopee spesso irresistibili), per il trepidante Jacky Molard Quartet (un ensemble capitanato da un violinista che da trent’anni a questa parte si è appropriato della cultura bretone attraverso il prisma delle musiche del mondo), per il Fargana Qasimova Ensemble (musica di tradizione dall’Azerbaidjan), per i congolesi Jupiter & Okwess International (che hanno trasformato la rumba congolese in un terreno fertile per la trance) e per il nostro Gianmaria Testa (che è tornato in una città che ama alla follia e alla quale si sente legato anche per l’amicizia e il rapporto di collaborazione con il grande Jean-Claude Izzo). L’attitudine e la «mission» di un appuntamento come il Babel Med è anche quello di tenere volutamente lasco il baricentro stilistico delle proposte, ma solo ai più distratti può apparire paradossale il fatto che in una kermesse dedicata alla world music sia la quota dedicata al rap (nelle sue mille e mille declinazioni) quella più rappresentata, veicolata, celebrata.

Sono contaminazioni

La cultura hip hop è diventata da tempo la nuova grammatica e la piattaforma esplorativa (e contaminativa) delle nuove leve della musica ed ha ottenuto per questo, in tutto il mondo, un parterre d’interpretazioni sempre più complesso e variegato. Della matrice hip hop del comoriano Ahamada Smis si è detto in apertura. A Marsiglia sono arrivati anche i rapper libici G.A.B., i libanesi Fareeq El Atrash, il francese Krismenn e i macedoni di etnia rom Shutka Roma Rap…Tutte, o quasi tutte, avevano un imprinting sonoro che miscelava la radice rap al loro patrimonio etnico. In alcuni casi il mix ha generato meraviglie, in altri disastri (è stato il caso dei Macedoni), ma di sicuro – lo ha dimostrato anche il bellissimo documentario di Hind Meddeb dedicato al Chaabi elttrico egiziano proiettato nell’auditorium della Biblioteca Gaston Defferre.

Certamente non si potrà prescindere da queste proposte quando si vorrà tastare il polso alle trasformazioni della musica di matrice etnica e alle sue prospettive nel campo della protesta identitaria, della militanza rivoluzionaria e della pura e semplice evoluzione creativa.