Quanto tempo ha Angelino Alfano per risolvere il suo dilemma? Forse un paio di mesi, forse un paio di settimane. Ieri si è riunita la Giunta per le autorizzazioni del Senato, senza i membri dell’Ncd e di Forza Italia. Ha deciso che l’iter del procedimento sulla richiesta di arresti domiciliari per il presidente della commissione Bilancio Antonio Azzollini inizierà martedì prossimo e che il relatore sarà lo stesso presidente, Dario Stefàno. Azzollini sarà ascoltato giovedì. Al voto si potrebbe arrivare a ridosso della pausa estiva, ma la faccenda potrebbe anche essere sbrigata nelle prossime due settimane.

Il Pd voterà a favore dell’arresto. Il presidente Matteo Orfini lo ha già anticipato ieri mattina: «Mi pare sia inevitabile». Parole improvvide. La replica dell’Ncd è arrivata a stretto giro: «Ma come? Senza nemmeno guardare le carte?». I telefoni dello stato maggiore di Matteo Renzi diventano incandescenti, e il segretario-premier stempera: «Ma figurarsi se noi decidiamo a priori!». Tocca al vicesegretario del partito, Lorenzo Guerini, metterci la proverbiale pezza: «Guarderemo le carte con attenzione e poi decideremo, senza pregiudizi e senza fare sconti». Politichese puro. La scelta di Renzi è già fatta. Difendere anche Antonio Azzollini, dopo aver fatto quadrato su Giuseppe Castiglione, il sottosegretario alle politiche agricole indagato per gli appalti del Cara più grande e meno limpido d’Europa, quello di Mineo, proprio non si può.

Il premier dunque ha già deciso. La vicepresidente di palazzo Madama Linda Lanzillotta è di fatto quasi già insediata alla presidenza della commissione Bilancio al posto del senatore pugliese. L’Ncd lo sa benissimo, ma fa finta di accontentarsi della rassicurazione. Solo che non tutti gli umori sono uguali e non tutti sono disposti a fingere che tutto vada bene perché Matteo Renzi ha appunto promesso di decidere solo «dopo aver visto le carte».

Dire oggi con certezza quali saranno le conseguenze per la tenuta dell’Ncd e quindi del governo non è possibile. I più governisti (escludendo naturalmente i Pd in pectore come la ministra Beatrice Lorenzin) si affrettano a mettere le mani avanti. Lo fa per tutti Renato Schifani: «Non vedo collegamenti con la tenuta della maggioranza. Sono piani diversi». Il collega Gaetano Quagliariello però usa altri toni: «Se fosse un sì pregiudiziale e ideologico lo riterremmo ingiustificato e politicamente grave». Ancora più secco un terzo senatore, Giuseppe Esposito, che lancia un avvertimento non equivocabile: «Ignazio Marino e Nicola Zingaretti dovrebbero dimettersi».

Preso nel fuoco incrociato da tutte le parti, Alfano sguscia e oscilla. Per lui l’importante è difendere il sottosegretario Castiglione, cioè il suo uomo in Sicilia, perché da Castiglione a lui il passo è brevissimo. Per questo, senza uscire allo scoperto, nell’Ncd sono in molti a sospettarlo di volersi “vendere” Azzollini pur di salvare il distributore di appalti di Mineo.

Solo che la stessa barricata alzata intorno al siciliano è fragile. La settimana prossima proprio Alfano dovrà riferire nell’aula del Senato. Poi arriverà alla Camera la mozione di sfiducia contro lo stesso Giuseppe Castiglione. Ma soprattutto la situazione del sottosegretario legatissimo al ministro degli Interni è in realtà difficilissima. Difenderlo potrebbe diventare un’impresa, per Renzi. Se Castiglione dovesse cadere, anche Alfano si scoprirebbe falco. In caso contrario resterà colomba, ma senza alcuna garanzia di tenere tutto il partito, e soprattutto l’intero gruppo dei senatori.
Per ogni evenienza, Matteo Renzi e i suoi insistono con la costruzione di una rete di protezione.

Martedì si incontreranno di nuovo Silvio Berlusconi e Denis Verdini. Gira voce che l’ultimo colloquio tra i due sia stato più che tempestoso: il prossimo potrebbe essere quello decisivo. Verdini ha visto le sue truppe lievitare negli ultimi giorni: da tre a tredici senatori sufficienti per formare un gruppo a palazzo Madama che, in caso di deflagrazione dell’Ncd, potrebbe arruolare anche i governisti di quel partito.

Ma anche se tutto andasse bene e dal cilindro di Verdini (chissà se con la complicità dello stesso Berlusconi) uscissero fuori i numeri necessari per evitare la crisi, la situazione non sarebbe facile. Perché al nuovo gruppo bisognerebbe pur dare qualche posto. Un governo con Denis Verdini non è precisamente l’ideale in termini di popolarità.