I venditori allo scoperto si agitano, per non perdere tutti i guadagni di una speculazione – denunciata da Antonella Mansi alla Consob – che comunque ha fatto perdere al titolo Mps il 20% in tre settimane. Così le azioni del Monte dei Paschi di Siena pian piano risalgono. Nel gergo del casinò borsistico lo chiamano «rimbalzo tecnico», che alla fine della seduta di ieri a piazza Affari porta il titolo Mps a 0,175 euro, con una chiusura in positivo dell’1,39%. Una seduta, va da sé, «molto volatile» per le azioni del terzo gruppo bancario italiano.

La risalita va avanti ormai da giorni. Da quando è stato ribadito urbi et orbi che la Fondazione Mps, prima azionista del Monte con il suo 33,4%, avrebbe imposto solo dopo il 12 maggio 2014 il maxi aumento di capitale da tre miliardi. Deciso da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola per restituire al Tesoro italiano buona parte dei costosissimi 4,07 miliardi di Monti Bond, che nel 2014 hanno un tasso di interesse del 9,5%. Un buon guadagno per lo Stato (circa 150 milioni al primo luglio prossimo), quindi per la collettività. Per giunta sotto l’ombrello Ue, che attenderà fino alla fine del 2014. E che infatti non ha battuto ciglio dopo l’assemblea di sabato dei soci.

Il via libera alla ricapitalizzazione entro fine giugno 2014, in ritardo di pochi mesi rispetto a quella (in gennaio) chiesta dal management di Rocca Salimbeni, era stata salutata con soddisfazione da Mansi. Anche dai piccoli azionisti. Eppure la presidente di una Fondazione che in caso contrario sarebbe stata annientata, deve tranquillizzare. Non i mercati, né la Ue: «Questa continua perturbazione mediatica non fa bene all’istituto – ha osservato ieri – sono stati anche dati messaggi catastrofici che non hanno una solida base. Parlare di una Fondazione che si arrocca significa non capire che sta avvenendo proprio il contrario. Il nostro lavoro sarà di provvedere a una cessione della quota utile alla messa in sicurezza dell’ente, che è sempre stato il nostro mandato».

Con debiti per 340 milioni, la Fondazione che rappresenta Siena e la sua provincia dentro il Monte dovrà trovare acquirenti per circa la metà delle sua azioni. Primum vivere, azzerando il debito. Per poi restare, ormai come socio di minoranza, in una banca che per 500 anni è stata orgogliosa proprietà della città. Un’idea Mansi sembra avercela: di fronte alle voci di un coinvolgimento di altre fondazioni come Cariplo, CariVerona e Compagnia di San Paolo, risponde: «Siamo disponibili e valuteremo tutte le possibilità. Con le fondazioni non c’è stata una trattativa: a tre giorni dall’assemblea non si poteva fare niente, mentre oggi ci sono più possibilità di affrontare l’argomento».

Nonostante che la nazionalizzazione sia stata bocciata dall’assemblea Mps, anche il Tesoro ha dovuto rassicurare: «La priorità è chiudere l’operazione nei tempi stabiliti, rimborsare il 70% dei Monti Bond entro il 2014, e restituire così i soldi agli italiani». Eppure, come ha osservato il senatore dem Massimo Mucchetti sulle colonne dell’Unità, per i conti aziendali del Monte la scelta più saggia sarebbe nazionalizzare, convertendo i Monti Bond in azioni ai valori di mercato. Un passaggio temporaneo, visto che la Ue ha accettato anche questa ipotesi, dietro l’impegno formale italiano di riprivatizzare Mps entro 5 anni. E ieri Agostino Megale, leader della Fisac Cgil, ha voluto ricordare agli smemorati: «In Europa negli anni della crisi gli altri paesi hanno speso 2.600 miliardi per sostenere le banche. La sola Germania 42. In Italia l’unica operazione fatta sono i Monti Bond a Mps che, senza una loro restituzione, portano a una nazionalizzazione. Che non va cercata, ma neanche temuta».