In un paese popoloso, sessista e pieno di insidie apparentemente insanabili come la Nigeria (con un tasso di criminalità e corruzione tra i più alti al mondo, dove si traffica di tutto, dalle sostanze stupefacenti – secondo solo alla Colombia –, agli organi umani (venduti alle cliniche private statunitensi), passando per il racket della prostituzione che allarga la sua rete fin fuori dal continente, in Europa soprattutto, fa sorridere la storia di Ayoola, «bambolina fashion» sexy e intrigante tutta dedita ai trucchi e all’abbigliamento, che all’apertura del romanzo d’esordio di Oyinkan Braithwaite Mia sorella è una serial killer (La nave di Teseo, pp. 240, euro 19), è già arrivata al suo terzo omicidio.

PER LIBERARSI dell’ennesimo fidanzato diventato scomodo e «accidentalmente» accoltellato, la serial killer del titolo chiede per l’ennesima volta soccorso alla sorella maggiore, complice suo malgrado se non altro dell’occultamento dei cadaveri e della pulitura ad opera d’arte della scena del crimine. Korede, infermiera al St Peter’s Hospital e voce narrante, sa alla perfezione come comportarsi in caso di spargimenti di sangue e quali prodotti utilizzare perché non ne rimanga la minima traccia, e sebbene ogni volta giuri che sarà l’ultima, a omicidi già compiuti non può che prendere le parti di questa sorella minore sconsiderata, egoista e spericolata, facendo di tutto per metterla al sicuro dalle indagini della polizia o anche solo dai sospetti che circolano tra i familiari delle vittime e sui social, perché «la famiglia viene prima di tutto».
Figlie di un padre violento (costantemente circondato da amanti più giovani a cui paga le rette universitarie, a cui la moglie concede comunque un funerale pomposo per salvare le apparenze), Korede e Ayoola sono l’una l’opposto dell’altra, caratterialmente ma soprattutto nel rapporto con l’altro sesso.

«NON RIESCO A IDENTIFICARE il momento esatto in cui mi sono accorta che Ayoola era bella e io… no. Ma so per certo che già da molto ero consapevole della mia inadeguatezza… La somiglianza c’è̀ – abbiamo la stessa bocca, gli stessi occhi –, ma Ayoola sembra una bambola fashion e io una bambolina vudù».
Mentre Korede, da sorella maggiore responsabile e protettiva, studia e lavora sodo come infermiera, prendendosi cura di tutta la famiglia, la minore passa le giornate nella sua stanza a disegnare vestiti e indossarli per fare video che posta su Youtube, mentre al piano di sotto la casa è piena di suoi adulatori. Ogni pomeriggio vengono intrattenuti con cibo e chiacchiere in salotto da sua madre, speranzosa che tra di loro si presenti per entrambe il buon partito con cui sistemarsi dignitosamente: «Gli uomini sono molto volubili. Date loro quello che vogliono e faranno qualunque cosa per voi. Fate in modo di avere sempre i capelli lunghi e lucidi, o investite in buone extension. Cucina(te) per lui …, manda(te)gli manicaretti a casa».

PER MOTIVI DIVERSI tuttavia, nessuna delle due pensa certo al matrimonio. Korede cerca soddisfazioni e promozioni all’ospedale e Ayoola, in parallelo a fidanzati di passaggio presto liquidati con metodi non del tutto ortodossi, si fa mantenere da uomini sposati più grandi di lei appartenenti all’alta borghesia nigeriana, che indossano orologi Bulgari al polso e scarpe Ferragamo, possiedono villette a schiera a Banana Island e cellulari costosissimi pieni di scatti di vacanze in Francia, negli Usa e a Dubai, che le finanziano il business dei vestiti e il corso per diventare stilista, e che lei usa come sponsor per la sua carriera nella moda.
Per entrambe, la città fuori è una metropoli da cui difendersi con circospezione, è la Lagos tentacolare descritta dai suoi rumori «i clacson, le grida dei venditori ambulanti, le sgommate», che va sempre affrontata con tutto il necessario in borsa: «Due pacchetti di fazzoletti di carta, una bottiglietta d’acqua da 30 centilitri, un kit di pronto soccorso, un pacchetto di salviette umidificate, un portafogli, un tubetto di crema per le mani, un burro cacao, un cellulare, un assorbente interno, un fischietto antistupro. Insomma le basi, per una donna».

IN UN PANORAMA letterario nazionale tra i più prolifici, consistenti e dirompenti del continente (che si è affermato a livello internazionale a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso con voci maschili tonanti contro guerre civili, colonialismi e corruzioni come Chinua Achebe, Wole Soyinka e Ken Saro-Wiwa, e con una sorprendente paladina di femminismo e recupero della storia patria come Chimamanda Ngozi Adichie nel nuovo millennio), Oyinkan Braithwaite aggiunge una giovane voce femminile fresca e ironica alla ragguardevole pletora di predecessori e di qualche frizzante giovane collega (dalla Chinelo Okparanta di La felicità è come l’acqua alla Lesley Nneka Arimah di Quando un uomo cade dal cielo), con un thriller dissacrantemente brioso, da leggere tutto d’un fiato.