Un funzionario diplomatico disilluso, un romanziere d’avventura sedentario e una ferrovia coloniale congolese. Questi sono i tre principali assi tematici sui quali si sviluppa il saggio dello storico di Ca’ Foscari Mario Coglitore. Il libro, Viaggi coloniali. Politica, letteratura e tecnologia in movimento tra Otto e Novecento (Il Poligrafo, pp. 160, euro 22) ha uno svolgimento cadenzato da una partizione musicale: dopo un’ouverture si procede per tre movimenti in progressione e termina con un finale. Come esplicitato nella prefazione di Barbara Henry, all’origine del volume di Coglitore vi è stata la sua collaborazione al corso «scritture e immaginari coloniali» e al conseguente seminario svoltosi nel 2019 a Lucca.

IL TEMA CENTRALE di questo composito saggio sono infatti le scritture, le elaborazioni emotive e gli immaginari di due personaggi appartenenti alla borghesia europea di fine 800 che hanno compiuto viaggi (reali o di fantasia) negli spazi coloniali. Il primo, Roger Casement, irlandese, diplomatico a servizio dell’impero britannico, fu a inizi 900 tra i più influenti accusatori delle atrocità commesse nello Stato Libero del Congo, sotto la corona di Leopoldo II di Belgio.

Il suo documento di denuncia, «il rapporto sul Congo», stilato nel 1903, scalfiva con i fatti la presunta superiorità morale bianca su cui si innestava il paternalismo colonialista. Casement, nonostante fosse convinto di una superiorità europea, continuò la sua opera di denuncia del colonialismo anche in Sud America: nel 1910 indagò sugli abusi della compagnia anglo-peruviana operante nella regione del Putumayo. Disgustato dall’imperialismo britannico, sostenne in seguito il movimento indipendentista irlandese e venne giustiziato nel 1916 per aver tentato di formare durante la Grande Guerra una Brigata Irlandese con l’appoggio della Germania. Non è chiaro come fosse possibile che Casement, denunciatore degli abusi sulle popolazioni locali, considerasse la Germania guglielmina un esempio «di missione coloniale più giusta» se proprio al principio del 900 (1904-1908) negli spazi coloniali tedeschi avvennero i primi genocidi del secolo ai danni di Herero e Nama.

Il secondo movimento, dedicato a Salgari, viaggiatore di fantasia, prova ad analizzare l’epopea salgariana come una letteratura di ribellione che portava il lettore a identificarsi con gli eroi subalterni di quelle imprese, come Sandokan, contro le prevaricazioni dei bianchi. La rivolta che serpeggia tra quegli scenari orientalisti fa dire all’autore che la scrittura di Salgari è «anticolonialista», precisando che non si tratta tanto di una denuncia del colonialismo in sé, ma delle sue «manifestazioni inique». Coglitore afferma che quello di Salgari fosse un «colonialismo umbertino, radicalmente contrario alla brutalità e all’espansionismo delle grandi potenze europee che relegano l’Italia a un ruolo minore». Ma, definire il «colonialismo umbertino» – quello della prima guerra italo-etiopica, del campo di prigionia di Nocra in Eritrea, della spedizione in Cina – in questi termini è un’affermazione quantomeno infelice essendo, semmai, la brutalità alla radice di ogni colonialismo.

DALLE BIOGRAFIE di personaggi controversi, nel terzo «movimento» l’interesse si sposta al mezzo di trasporto più emblematico del viaggio coloniale: la ferrovia, vista come dispositivo di potere imperiale. Il focus di questa sezione è sulla ferrovia Congo-Oceano in quanto esempio di sfruttamento micidiale, tanto sugli umani che sull’ambiente, operato dalle logiche capitaliste e colonialiste. Dal report d’inchiesta al romanzo d’avventura, si passa a una diversa «scrittura coloniale»: quella dell’impianto ferroviario che rimodulando gli spazi scrive sul territorio, imponendola, una nuova geografia con la grammatica dell’imperialismo. Una riflessione sulle scritture coloniali di viaggio e d’avventura non può quindi esimersi da una critica alla colonialità di una certa scrittura, di ieri e di oggi, che incatena l’altro, il diverso, lo straniero, nello stereotipo di una mappa mentale statica e discriminante.