Il progetto è avere una “Casetta” a Roma: la città delle case senza gente e della gente senza le case. Una condizione, ormai nota sin dai tempi del sindaco Giulio Carlo Argan, storico dell’arte e creatore di una formula che oggi tragicamente vale per molte città, non solo per la Capitale. E “Casetta” è stato il nome di un’occupazione abitativa nel quartiere di Portonaccio, incastonata tra il centro sociale Strike e l’ex fabbrica di treni notte oggi rivitalizzata nel progetto di “Officine Zero”.

Qui, a poche centinaia di metri dalla colossale stazione ferroviaria Tiburtina, in un angolo tra grandi strade a scorrimento veloce, uno stabile abbandonato da più di vent’anni è stato riaperto e riqualificato grazie al lavoro di decine di precari, studenti e migranti. Era il 2008, sono passati quasi dieci anni. Ieri è stato sgomberato.

Come sempre sono arrivati presto, ma non all’alba. Gli occupanti dicono che erano all’incirca le 8 del mattino quando le camionette della polizia sono arrivate. In quel momento la speranza di avere un’unica casa possibile è svanita per decine di persone. La legge è stata ripristinata: invece di sanare l’emergenza abitativa, eccole ritornare nella città degli affitti inaccessibili.

Lo stabile occupato sorge in un’area della città, proprio all’imbocco della consolare Tiburtina, interessata dalle compensazioni promesse in cambio delle concessioni edilizie. Di proprietà del colosso petrolifero Eni, la zona è stata abbandonata non prima di averla usata come deposito di idrocarburi.

“La giunta Raggi – accusano gli sgomberati – non si discosta per il suo agire da tutte le passate giunte e da tutti i tecnici che hanno reso Roma una città ostaggio della rendita e del profitto”.