Jesse è il nome di un ragazzo paraplegico a cui è stata diagnosticata alla nascita una paralisi cerebrale. Ed è anche il figlio dell’autrice di un romanzo edito da Nutrimenti (pp. 255, euro 18, traduzione di Letizia Sacchini). Scritto da Marianna Leone, attrice conosciuta in Italia per la sua partecipazione alla serie televisiva I soprano, Jesse è un memoir che ha l’intento di lenire il dolore per la perdita del figlio: «scrivere non salva ma guarisce», inaspettatamente, però, leggendolo ci si trova di fronte a un racconto privo di qualsiasi forma di commiserazione in cui il sentimento preponderante è la forza.

Jesse era forte, come si descriveva lui stesso in una delle poesie che componeva e che costellano il libro insieme alle sue foto, che lo ritraggono con la madre, ma anche con le persone importanti della sua vita: quelle altre donne che si sono dedicate alla sua educazione e alla sua cura, amandolo profondamente e con coraggio. Se nel libro Leone non si sofferma mai neanche per una riga a descrivere che cosa provasse lei, in quanto madre di un bambino disabile, ogni volta che racconta di una delle donne che si sono occupate di Jesse, sottolinea che per prima cosa erano state capaci di vedere in lui una persona e poi un individuo disabile.

COME SOTTOLINEA la filosofa statunitense Eva Feder Kittay, figura di spicco dei care studies e mamma di una donna gravemente disabile, esserne madri significa comprendere quanto il tuo solo amore non sia sufficiente, quanto vitali siano le persone che lavorano con te e per te affinché tua figlia o tuo figlio possano avere una esistenza degna, possano sopravvivere. Le infermiere, le logopediste, le insegnanti, le fisioterapiste di cui Marianne Leone ci descrive attitudini, tratti caratteriali e del viso sono protagoniste della storia quanto lo sono l’autrice e suo marito.
Certo, come Leone stessa scrive, non sempre si incontrano degli angeli, così la vicenda di questa madre è anche un resoconto di lotta perché Jesse potesse andare a scuola, potesse sviluppare una intelligenza evidente, se solo la si guardava con gli strumenti adeguati. Una battaglia piena di rabbia, amore e forza contro i medici che spesso si sono comportati con Jesse come se fosse un esperimento, un enigma o una possibile cavia per farmaci sperimentali e interventi chirurgici.

LEGGENDO UNA STORIA di vita come questa a dominare la scena dei sentimenti, senza nascondere che fra questi c’è la commozione, ciò che prevale non è il dolore né la migliore compassione. Resta la meraviglia, non solo per la forza dell’autrice e di suo marito nel fare fronte alla difficoltà e alla tragedia di un figlio gravemente malato, ma quella che Marianne stessa fa emergere tra le dense pagine, scaturita dal sentimento di un amore sconfinato, come definisce il suo per Jesse. Rimane l’incomprensibile grandiosità di un aforisma sufi che fa da exergo ad un capitolo: «quando il cuore piange per ciò che è perso, lo spirito ride per ciò che è trovato».