Ora che la concessionaria Sat bussa alle casse pubbliche chiedendo 270 milioni di euro per realizzare l’autostrada tirrenica, torna di stretta attualità uno studio che già alla fine degli anni ’90 rimarcava l’anti economicità della grande opera. Commissionata dal Wwf al Politecnico di Milano, l’analisi dei flussi veicolari sulla Livorno-Civitavecchia faceva capire che il traffico non pendolare sull’arteria stradale era troppo scarso, anche solo per assicurare l’equilibrio fra costi e benefici nella trasformazione della statale Aurelia in autostrada. Dopo ben quindici anni di discussioni anche feroci, e con una dichiarata scelta politica dei vari governi e della Regione Toscana perché l’autotirrenica fosse realizzata, ora è la stessa Sat che segnala un calo del già scarso traffico – effetto diretto della crisi – con la previsione di una ulteriore riduzione nei prossimi anni. Ma questo dato viene utilizzato al solo scopo di chiedere soldi pubblici per quello che, sulla carta, dovrebbe essere un project financing. Già molto ben remunerato.

Nei giorni scorsi il governo Renzi ha confermato il suo impegno a trovare le risorse per dare gambe al progetto, apertamente contestato dalla popolazione costiera toscana. Il ministro alle infrastrutture Maurizio Lupi, in commissione lavori pubblici al Senato, ha assicurato che i soldi arriveranno. Ma il decreto non arriverà prima della fine di luglio. E questo rinvio ha provocato un piccolo terremoto, visto che Antonio Bargone, che è presidente di Sat e anche commissario straordinario per la realizzazione dell’opera, si è dimesso da quest’ultima, quantomeno anomala carica: “E’ evidente che non c’è da parte del governo una chiara volontà di realizzare l’opera – ha scritto nero su bianco Bargone – nonostante che l’impegno profuso in questi anni abbia prodotto risultati importanti”.

I “risultati importanti” sono la trasformazione in autostrada dei quattro chilometri di variante Aurelia, che era già a quattro corsie, nel tratto fra Rosignano e Cecina, e i lavori in corso da più di due anni per adeguare l’Aurelia nel tratto laziale a corsia unica che da Civitavecchia arriva a Tarquinia. Tutto il resto, e cioè i quasi 200 chilometri attualmente coperti dalla variante Aurelia fin sotto Grosseto, e soprattutto il passaggio ambientalmente delicatissimo che da Talamone passa per l’Argentario, Capalbio e arriva al confine della Toscana con il Lazio, resta solo sulla carta. Non soltanto perché avversato da Wwf, Legambiente, Italia Nostra e da una miriade di associazioni e comitati locali. Anche perché i soci di Sat (Autostrade al 25%, le coop edilizie riunite in Holcoa al 25%, il gruppo Caltagirone con la società Vianini al 25% e Mps al 15%) hanno fatto i conti e hanno visto che i guadagni saranno ben minori di quanto prospettato. Di qui l’aperto nervosismo di Bargone, che arriva a minacciare l’interruzione dei lavori nel tratto laziale se non arriveranno i 270 milioni promessi dal governo.

I guai per la Sat non finiscono qui. Le modalità di progettazione e affidamento dei lavori sono finiti nel mirino dell’Unione europea, che ha aperto una procedura di infrazione. In discussione l’affidamento di appalti, per complessivi 150 milioni, direttamente a imprese controllate, quando invece c’è l’obbligo di affidarli a terzi. Su questo aspetto della vicenda sono subito arrivate le richieste di chiarimenti di Sel e di Rifondazione. E di fronte alla difesa d’ufficio del presidente toscano Enrico Rossi, ha avuto buon gioco il coordinatore di Sel, Giuseppe Brogi, a replicare che sono la Sat e il governo a dover dare spiegazioni. Il ministro Lupi non ha trovato di meglio di accusare l’Ue (“sono osservazioni quantomeno anomale”). Mentre la Sat, annusando il pericolo, ha subito bussato alle casse dello Stato.