Il confronto sulle autonomie regionali inizierà non oltre la prossima settimana, assicura il sottosegretario Gianclaudio Bressa. Lombardia ed Emilia-Romagna si presenteranno insieme, la posizione del Veneto è invece ancora incerta. La tensione tra il governatore leghista della Lombardia e quello leghista del Veneto è durata in realtà, almeno ufficialmente, lo spazio di un mattino. Roberto Maroni aveva infatti apertamente deplorato la richiesta di una legge costituzionale per fare del Veneto una nuova Regione a statuto speciale avanzata dalla giunta regionale guidata da Luca Zaia: «E’ un errore. Noi chiederemo invece l’autonomia su tutte le 23 competenze possibili».

Per sostanziare il messaggio il lombardo chiede al consiglio regionale di inserire nella sua risoluzione post referendaria «tutte le 23 materie previste dagli articoli 116 e 117 della Costituzione» e insiste per un’approvazione a strettissimo giro, nell’arco di tre settimane. Zaia si adegua. Spiega che la partita sullo statuto speciale non va confusa con quella del referendum e che anche il Veneto si muoverà sulla linea della Lombardia: «Abbiamo presentato un ddl costituzionale sullo statuto ma non c’entra con il referendum e la trattativa che si svolgerà sulle 23 materie».
All’origine dell’ammorbidimento di Zaia c’è proprio la Lega. Per Salvini il voto del Veneto è stato un successo non privo di rischi. Quel referendum resuscita infatti lo spettro di una contrapposizione frontale col meridione che è quanto di meno gradito al capo leghista, che mira invece a sfondare proprio nel sud. Salvini ritiene che il referendum si possa ancora gestire ma un ulteriore rilancio sullo statuto speciale avrebbe reso clamorosa la contrapposizione nord-sud.

L’apparente retromarcia non tranquillizza però il governo. Al contrario, il sottosegretario Bressa, a cui spetta il compito di gestire la faccenda, è ancora più ultimativo di lunedì: «Se Zaia vuole chiedere maggiore autonomia su tutte le 23 materie è fuori dalla Costituzione perché sarebbe federalismo fiscale». Sono toni diversi da quelli che aveva adoperato qualche ora prima il presidente del consiglio che aveva assicurato la «massima disponibilità del governo».

E’ una differenza negli accenti più che nella sostanza. Il governo ha già pronto il suo progetto, modellato sulla trattativa in corso, senza referendum preventivo, con l’Emilia-Romagna. Ieri il governatore emiliano Stefano Bonaccini ha incontrato Bressa, proponendo di lavorare intorno non alle 23 materie ma intorno a quattro macroaree. Il premier, che ieri si è sentito al telefono con Maroni, ha avanzato anche a lui la stessa proposta e Maroni si è detto disponibile. Tanto più che il governatore lombardo e quello emiliano si erano a loro volta consultati telefonicamente in vista della trattativa comune.

Parlare di quattro macroaree, ha specificato però su Fb, Bonaccini, non vuol dire affatto limitare le richieste all’autonomia su solo 4 materie, dal momento che ogni macroarea accorpa diverse materie. Né lui né Maroni, leghista istituzionale già ai tempi del Bossi ruggente, intendono però forzare la mano più che tanto. «Non vado a Roma a dire ’tutto o niente’» ha già chiarito il lombardo. Però, nonostante il chiarimento in materia di statuto speciale, è evidente che Zaia, forte del brillante risultato referendario, intende condurre la trattativa a muso duro e ciò forzerà inevitabilmente la mano anche ai più dialoganti colleghi lombardo ed emiliano.

La partita iniziata domenica, insomma, non è vicina alla chiusura. Le elezioni si avvicinano e il tema slitterà sempre più al centro della campagna elettorale, intrecciato a quello del fisco. Matteo Renzi non ha alcuna intenzione di restare in panchina. Mira invece a entrare anche lui in gioco e a pieno titolo. Il segretario del Pd ieri ha parlato anche lui al telefono con Zaia. Gli ha ricordato che nella sua riforma costituzionale le competenze passavano da 23 a 9 e ha confermato che il messaggio inviato dagli elettori nelle urne domenica scorsa non può essere ignorato o minimizzato.

Le autonomie regionali, assenti fino all’altroieri dal dibattito, occuperanno dunque una postazione decisiva, e stavolta, a differenza di quanto accadde agli albori della Lega, la pressione autonomista non sarà limitata al nord.