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Autofiction, tipico Romand

Autofiction, tipico RomandFrançoise Romand in "Thème-je"

La personale La camera specchio: il cinema di Françoise Romand a Torino fino al 28 marzo

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 9 marzo 2019

Ruotare la cinepresa verso di sé è stata come una rivoluzione copernicana per il cinema delle donne: prima si è cominciato a filmare la condizione femminile, poi si sono inseriti in grande quantità in scena gli specchi come a scoprire di sé qualcosa nel profondo, quindi mettersi in scena in prima persona è stata una rinnovata autoanalisi ma anche una svolta di stile. Lo aveva fatto Chantal Akerman con in più l’introduzione del tempo reale, ma ha afferrato poi al volo l’era digitale con le nuove tecnologie Françoise Romad .
Alla regista francese è dedicata una bella personale a cura di Silvia Nugara e Claudio Panella intitolata «La camera specchio: il cinema di Françoise Romad» a Torino nel corso di Sottodiciotto Film Festival & Campus con l’Unione culturale Franco Antonicelli, inaugurata il 3 marzo nell’ambito del Divine Queer Festival con Appellez-moi Madame (1987).
Françoise Romand è diventata famosa internazionalmente con il suo esordio Mix up-Méli-Mélo (1986) che ebbe l’imprimatur del New York Times) indicato il migliore film degli anni ’80 ed ora i suoi film sono nei musei e nelle università.
Era quello un modo inedito di fare documentario, reso così formalizzato soprattutto dalla Bbc, a partire dall’incredibile vicenda avvenuta nel 1936 di due neonate scambiate unfortunally nella culla dell’ospedale a Nottingham. Mme Wheeler ha qualche sospetto, ma solo quando le ragazze hanno vent’anni la verità viene a galla e ci vorrà del tempo alle due famiglie per ritrovare il loro equilibrio. E si direbbe che mai l’hanno perso con la flemma con cui le gentili signore della middle class inglese, i Wheeler e i Rylatt espongono i fatti. L’effetto esplosivo è che nel film sono presenti tutte le costanti del documentario, l’evento forte, le testimonianze dei protagonisti della vicenda, le interviste frontali, le fotografie degli album di famiglia trattate in truka.
Ma ecco che si inseriscono surreali scene di fiction, che l’intervistato fa cenno alla camera di avvicinarsi per raccontare più in confidenza, che la stessa regista si piazza in campo. Tutto è scompigliato, non solo l’aplomb del documentario Bbc, ma anche lo svolgimento della storia con l’intervento delle tematiche femministe come il tema allora non ancora tanto frequentato della maternità o il tema del doppio coniugato con quell’esprit de géométrie francese che si manifesta nella costruzione delle scene. Il tutto condito con ironia e fiction. Lei stessa definisce il suo lavoro «documentaire-fiction».
CHIAMATEMI SIGNORA
Altra tematica dirompente è stata quella raccontata nel suo secondo film Appellez-moi Madame (1987), storia di Jean-Pierre Voidies attivista politico nella resistenza, torturato dalla Gestapo, poeta, marito e padre che decide di cambiare sesso a 55 anni e diventa l’imponente Madame Ovida Delect (come si vede nella foto grande in pagina) con l’aiuto della moglie Huguette, continuando ad essere attivista politico, poeta e autore di una autobiografia. «Ma quando le incontrai, dice, ignoravo tutto questo, sembravano due tranquille signore di provincia».
]Il cinema l’avrebbe rincorsa e raggiunta in ogni caso: Françoise Romand nata nel 1955 nei pressi di Marsiglia a La Ciotat , nome quanto mai legato ai fratelli Lumière, racconta che il bisnonno faceva il giardiniere dei Lumière a Lione, proprio quello che vediamo nell’Arroseur arrosé del 1895. Ma, aggiunge, anche se in famiglia era una leggenda, lui non aveva mai dato importanza alla cosa. In quanto all’altro bisnonno era capostazione a La Ciotat, location di un altro celebre film dei pionieri L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat, 1895.
AUTOFICTION
Con i mezzi leggeri di ripresa, le webcam piazzate in casa e la possibilità di rivolgere la camera su se stessa, ha raccontato tutto questo nella saga di famiglia e personale Thème-je
(2011) gioco di parole da leggere anche come Je t’aime.Ha definito il suo stile «Autofiction», cosa ben diversa dall’autobiografia, dalle confessioni o autocoscienza dei primi film fuianemministi. «Dopo il 2000, ci raccontava ospite al festival di Cinema e donne di Frenze nel 2012) piazzo una webcam in cucina e questo è l’inizio di un diario intimo con elementi che si possono aggiungere, cancellare, trovare nuove forme, esplorare il non politicamente corretto per trovare pensieri profondi».
In realtà il suo è proprio andare alla ricerca di tutto ciò che è nascosto, degli scheletri negli armadi, dei segreti incoffessabili di famiglia, o di quelli sepolti d generazioni. Nel film girato anno dopo anno passano davanti alla camera i componenti della sua numerosa famiglia che vive nei dintorni di Marsiglia, fino al momento traumatico della decisione di vendere la casa. Dall’incontro con i suoi familiari si comprende meglio da dove provengano le sue qualità di artista eccentrica e fuori dagli schemi. Ci ricordava la Varda degli anni ’60 (non che oggi sia diversa), e proprio a lei ha dedicatonel 2000 Agnès Varda Feet
O anche Vera Chytilova che osava scompigliare il rigido protocollo dei solenni cerimoniali comunisti. Ma lei dice che i suoi riferimenti sono Tati e Renoir.
Spiazza, saltella come un folletto, moltiplica il quadro visivo, fa dire cose che non si vogliono dire, dà voce al cane e alle anatre. La Romand dove si trova, talvolta anche nella vasca da bagno, filma nel suo diario gli imprevisti e le novità e dei suoi amori, blocca la madre reticente sulla poltrona a parlare («basta ora, è il mio giardino segreto. Ho un sacco di cose da fare»), fa emergere il destino della nonna sfuggita al genocidio armeno, una storia di atrocità sepolta nel passato.
GAY GAMES
Intanto si intessono complesse tematiche legate alla maternità, alla sessualità, all’identità spunti approfonditi nel corso della masterclass che terrà a Torino il 19 marzo quando farà riferimento al cinema e alla politica delle donne e delle soggettività Glbtq. È del 2010 Gais Gay Games , titolo ritmico, dove filma i giochi sportivi glbtq, inaugurati come Gay Olimpics a San Francisco nel 1980 e che si sono tenuti a Colonia con la partecipazione di oltre diecimila presenze nelle varie discipline (calcio, tennis, ping pong, nuoto, nuoto sincronizzato, atletica, climbing), tra confessioni intime e sale da ballo dove gareggiare nel ballo da sala.
E segue nella loro attività una coppia di street artist con due figli piccoli che realizzano giganteschi murales in Baisers d’encre (baci d’inchiostro), storia di Ella e Pitt che dipingono sui muri e nelle gallerie le loro fantasie in giro per il mondo, come animali giganteschi che sbucano da portoni, un uomo barbuto con le tette che allatta il figlio. Un modo, dicono, per rendere il mondo più bello.
AFFIDARSI
La tenerezza con cui accompagna i suoi personaggi è presente anche in Si tu aussi m’abandonnes (2004, che chiuderà la personale, in versione integrale e non censurata dalla televisione che lo aveva commissionato, storia del rapporto problematico tra José ragazzo colombiano ventenne e i genitori adottivi francesi. Un racconto doloroso che procede non senza ironia e con il controllo della regista che è sempre sorretta da spirito critico e conosce bene il senso del limite.

 

 

IL PROGRAMMA

L’Unione Culturale Franco Antonicelli presenta la personale Françoise Romand con Aiace Torino e il festival Sottodiciotto & Campus: lunedì 18 (20.30) al Massimo «Méli-Mélo» (1986) e «Baiser d’encre» (2015), martedì 19 alle 15,30 al Laboratorio Quazza (Palazzo Nuovo, via S. Ottavio 20) masterclass nell’ambito del corso in Cinema e gender della Prof.ssa Giulia Carluccio. Alle 21, in Unione culturale, la regista presenterà «Thème Je» (2011), il 28 al Centro Studi Sereno Regis (ore 21) nell’ambito della rassegna AffiDarsi, «Si toi aussi tu m’abandonnes» (2004)

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