Verde ed archeologia sono un binomio antico. A volte la piantumazione di alberi e fiori costituisce il tentativo di ricostruire il paesaggio antico, contando su tecniche di scavo sempre più attente ai particolari, con l’aiuto insostituibile degli archeobotanici. In altre occasioni, invece, costituisce l’espediente utilizzato per armonizzare tra loro resti che, seppure maestosi, hanno perso la loro primitiva unitarietà.

Ma dai giardini delle domus di Pompei fino a quelli quasi sterminati della Domus Aurea, a Roma, passando per quelli delle grandi villae imperiali, senza dimenticare quelli che completavano i fori, il verde è elemento imprescindibile, sia nell’architettura che nell’urbanistica romana. Cipressi e lecci, come ligustri, querce, platani e faggi con cespugli di mirto, alloro e rosmarino, oltre ad alberi da frutta.

Tra i fiori, immancabili le rose. Come quelle frequentemente raffigurate nella pittura parietale di tanti edifici. Esempi celebri, tra i tanti, quelli pompeiani, nella Casa del Bracciale d’oro, in quella di Venere in Conchiglia e nell’altra dei Quadretti teatrali. Ma anche quelle della Villa di Livia a Prima Porta, a Roma. Come quelle di Paestum, ricordate da Virgilio nelle Georgiche e da Marziale negli Epigrammi e soprattutto quelle descritte da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia. Come quelle rinvenute a Pompei, nei giardini della Casa dei Pittori al Lavoro e della Casa del Giardino di Ercole e ad Oplontis, odierna Torre Annunziata, nel settore est della Villa A. Come quelle, identificate dalle analisi paleobotaniche delle terra e dei resti carbonizzati, ritrovati in occasioni degli scavi del 1998-2000, piantate nelle anfore spezzate poste lungo le fontane che adornavano il Foro della Pace, a Roma.

Così ora per confermare la loro rilevanza e sottolinearne il rapporto con il contesto, il Parco archeologico del Colosseo ha avuto una magnifica intuizione. Far nascere una nuova rosa, Augusta Palatina. Un originale ibrido, che racchiude il patrimonio genetico di alcune delle rose più antiche giunte sino a noi, da inserire tra le rose del viridarium negli Horti Farnesiani, sul Palatino. Già, perché la sistemazione dell’area a roseto del 1960, nel 2018 ha subito un riordinamento, elaborato dall’Ufficio giardini del parco archeologico del Colosseo. Le piante sono state sostituite con uno schema che ripercorre la storia delle rose. Dalle antiche Alba, Damascena e Gallica alle Chinensis, ibridi antichissimi che arrivarono in Europa nel XVIII secolo, capaci di rifiorire senza interruzione nell’arco di tutto l’anno, fino agli ibridi ottocenteschi.

«La rosa Augusta Palatina è l’esito di una lunga ricerca… questo fiore è il simbolo dell’impegno nel preservare i caratteri originari della natura», ha detto lo scorso 22 maggio in occasione della presentazione dell’iniziativa Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo. «Impegno», senza dubbio grande. La rosa è il risultato di otto anni di studi e di sperimentazioni dell’ibridatore Davide Dalla Libera, supportato nel progetto da Gabriella Strano, architetto paesaggista del Parco archeologico del Colosseo, coadiuvata anche dall’Orto Botanico di Roma.

Il fiore pieno, regolare e simmetrico, porpora scuro, con sfumature violetto nei petali più esterni e ciliegia per quelli centrali, caratteristiche della specie gallica, va così a completare un contesto straordinario. Quale? Naturalmente quello del Viridarium, realizzato agli inizi del Novecento da Giacomo Boni, che dopo la Direzione degli scavi nell’area del Foro aveva assunto anche quella del Palatino, proprio in una delle aree non scavate della Domus Tiberiana. Spazio quindi riservato alle sperimentazioni vegetali e locus amoenus dove recuperare e riproporre alcune delle valenze legate al giardino farnesiano. Anche per questo una nuova rosa, nata da una ricerca, in quel posto costituisce non solo un arricchimento del patrimonio rosaceo, ma un tributo a Boni. Alla sua moderna visione del paesaggio.

Anche a Pompei si é avviata una operazione simile. Simile, non uguale. L’associazione «La rosa antica di Pompei», in collaborazione con il Parco archeologico di Pompei, ha promosso e finanziato una ricerca finalizzata alla costituzione di una rosa riconducibile al genotipo/fenotipo più diffuso a Pompei e in Campania in epoca romana. Così lo scorso giugno l’associazione ha curato la piantumazione delle rose antiche in alcuni giardini di domus pompeiane, come la Casa del Fauno, la Casa di Loreio Tiburtino e la Casa del Profumiere. Un tentativo di ricostruzione dei piccoli paesaggi che caratterizzavano la città campana. Un recupero attento ai particolari. Con la rosa ancora protagonista. Bianca, rosa oppure viola, gialla, rossa, oppure screziata. A petali carnosi, oppure sottili. Grandi e a stelo lungo, oppure piccole e concentrate in mazzetti. Nelle sue diverse caratteristiche, comunque la regina del verde.