«Nei limiti dei miei poteri e delle mie responsabilità». Giorgio Napolitano ha scritto, e letto, per due volte questa formula nel suo discorso di fine anno; una doppia puntualizzazione imposta dal ruolo centrale che il presidente della Repubblica è ben consapevole di aver assunto nella vicenda politica italiana, e certo anche dalle critiche che per questo suo ruolo si attira. Si tratta però di puntualizzazioni tanto obbligate quanto vane: gli auguri del presidente Napolitano – tanto più all’ottavo, eccezionale capodanno – non sono il rituale omaggio alla tradizione, ma ormai un passaggio politico atteso, decisivo. Il messaggio dell’altra sera addirittura, secondo una lettura consonante con il governo Letta, dovrebbe rappresentare il punto di svolta per il rilancio dell’esecutivo.

Del resto anche l’attenzione in negativo segnala l’accresciuta importanza del «rito»: alle fantasie di boicottaggio televisiovo da parte berlusconiana rispondono i dati di ascolto, che essendo in crescita segnalerebbero un successo tutto politico del presidente. Curioso poi che si tratti quasi dell’identico numero di teleascoltatori (circa 10 milioni) che hanno seguito l’equivalente messaggio del francese Hollande. Un presidente che è leader politico ed è eletto direttamente dai cittadini, ma il cui stringato discorso – 10 minuti, la metà di quello di Napolitano – cade in Francia nel quasi assoluto disinteresse politico.

Da noi è diverso, e degli auguri dal Quirinale vanno colti anche i dettagli di scenografia e sceneggiatura: la scrivania presidenziale lasciata vuota, il dialogo diretto con i cittadini e con i malumori dell’antipolitica. Non è la prima volta che il presidente si sistema dalla parte dello spettatore-elettore per rivolgersi ai partiti nel loro complesso. Stavolta se possibile l’insistenza sulla necessità delle riforme è stata persino maggiore: Napolitano ne ha parlato come di un passaggio «obbligatorio e urgente». Altrimenti, ha aggiunto, è addirittura la «nostra democrazia» che «può rischiare la destabilizzazione». Il punto debole del ripetuto appello è che le riforme costituzionali sono state utilizzate, nell’anno che si chiude, come un gerovital per il traballante esecutivo, e sono poi rapidamente tramontate all’orizzonte una volta sfilatasi Forza Italia.

Su questa pure traumatica cesura Napolitano sostanzialmente sorvola; nel discorso l’unica traccia della decadenza di Berlusconi, cioè dell’evento che ha segnato tutta la legislatura, è questa: «Molto è cambiato negli ultimi mesi nel campo politico». Per il presidente il Cavaliere è ormai affidato agli storici e i berlusconiani, che non possono dirsene sinceramente sorpresi, sono lo stesso assai arrabbiati e vagheggiano la messa in stato d’accusa (procedura il cui esito è segnato, visti i numeri in parlamento, ma che segnerebbe ugualmente in modo pesante il mandato di Napolitano).

Il capo dello stato dice adesso che le riforme costituzionali serviranno al parlamento per «riguadagnare il suo ruolo centrale», però quando scende sul pratico raccomanda solo una più celere risposta delle camere ai desideri del governo. Cita le mozioni sulle riforme approvate a maggio come prova dell’adesione del parlamento al progetto riformatore, ma trascura di dire che quelle erano mozioni imposte dall’esecutivo con il ricatto della crisi e che prevedevano una quasi totale riscrittura della seconda parte della Costituzione. Ma quello che allora la maggioranza e i suoi saggi consideravano il minimo indispensabile è diventata un’urgenza non più urgente.

Urgentissima resta invece per il settimo capodanno di fila la nuova legge elettorale. E può essere interessante che il presidente non abbia fatto riferimento stavolta a un accordo indispensabile nella maggioranza di governo. Al contrario ha detto di auspicare «la più larga maggioranza possibile». Sarà stato questo uno dei passaggi preferiti da Matteo Renzi, assieme al senso di urgenza complessivo trasmesso dal messaggio e dalle note critiche generalizzate verso i partiti. Anche perché, contemporaneamente, dall’«altro» messaggio di capodanno di un leader-non leader, quello di Grillo, è arrivata una decisiva apertura alla riforma più semplice del Porcellum, e cioè il ritorno al Mattarellum. Bisognerà adesso intendersi sulle correzioni a quel vecchio modello, comunque per Renzi e per la sua ricerca di un accordo al di fuori del perimetro di governo il nuovo anno comincia bene. Ma è il nuovo mese quello che conta.