Che Peter Gabriel non sia un artista banale dovrebbe essere un fatto ben chiaro per tutti fin dai tempi in cui metteva in piedi spettacoli praticamente teatrali con i Genesis. i/o, il suo ultimo album, uscito in formato fisico per Real World lo scorso 1 dicembre è solo l’ennesima conferma: basti pensare che le dodici tracce che lo compongono sono in realtà già note, perché sono state pubblicate una al mese durante l’ultimo anno in corrispondenza dei cicli lunari e sono state anche suonate dal vivo durante il tour di Gabriel la scorsa estate, creando in parte una (ingiusta) delusione nei fan, che speravano in un concerto fatto principalmente dei classici del cantante inglese. L’uscita dell’album permette di avere una visione d’insieme di quello che vuole essere i/o, la prima raccolta di inediti di Gabriel da Up del 2001, cioè un lavoro complesso e stratificato, di cui si intuisce la lunghissima gestazione, iniziata nel 1995.

FIN DALLA PRIMA traccia, Panopticom, si riconosce l’impronta inconfondibile di Gabriel e dei suoi fedeli compagni, Tony Levin al basso, David Rhodes alle chitarre e Manu Katché alla batteria, a cui si aggiungono un gran numero di musicisti, tra cui la figlia Melanie, Brian Eno e Paolo Fresu, che ha prestato la sua tromba alla traccia di chiusura Live and Let Live. Ogni traccia è stata anche accompagnata da un’opera d’arte (come era successo per i pezzi di Us) realizzata da autori come Ai Weiwei, Nick Cave o Olafur Eliasson e, per rimanere fedele all’idea dei cicli lunari, ogni canzone è stata pubblicata in due versioni diverse, il Bright-Side Mix curato da Mark “Spike” Stent e il Dark-Side Mix, opera di Tchad Blake. Esiste anche un terzo mix – l’In-Side Mix – realizzato in audio spaziale Dolby Atmos da Hans-Martin Buff: le edizioni fisiche del disco le raccolgono tutte e tre.Ogni traccia è stata pubblicata in due versioni diverse e in audio spaziale

C’È DA DIRE che questi diversi «vestiti« per le canzoni non cambiano di molto la sostanza del lavoro: in molti casi le differenze tra il Bright-Side e il Dark-Side non sono enormi – a un primo ascolto, il Dark-Side Mix suona un po’ più «asciutto« – e l’impressione è che ci si trovi davanti a un album privo del grande singolo pop, ma ricchissimo dal punto di vista sonoro. Alcune canzoni, come la ballata Playing for Time (che sembra una giovane nipote di Here Comes the Flood), la title track o il già citato inno pacifista Live and Let Live possono sedere accanto ai pezzi classici e più celebrati di Gabriel senza soffrire il confronto. Quello che colpisce è che la voce di Gabriel (73 anni) sembra non risentire del passare del tempo. E, per molti versi, questo si può dire anche di i/o: si tratta di un album che ha poco a che vedere con la musica di oggi, ma che suona esattamente come deve suonare un album di Peter Gabriel. E questo, fin da quando l’ex cantante dei Genesis decise di salire su Solsbury Hill per trovare sé stesso, è un bene.