Imporre un’economia digitale con la «messa al bando» della moneta cartacea è una forma di dittatura tecnologica, nelle mani dei miliardari di questo mondo. Mentre il 2017 volge al termine, è importante una pausa per riflettere su che cos’è l’economia digitale e chi controlla piattaforma e linee. «Un po’ di sacrifici adesso per un grande vantaggio nel lungo periodo» è diventato lo slogan. Ma chiediamoci: «Per chi sarà questo presunto vantaggio nel lungo periodo?»

Dieci fra i più grossi miliardari si sono arricchiti grazie a brevetti e monopoli sui mezzi di informazione e sulle tecnologie di rete. Sono percettori di rendite sull’economia digitale; rendite altissime, frequentissime, accumulate in pochissimo tempo. Per esempio, Bill Gates e la sua compagnia hanno fatto soldi con i brevetti sui software sviluppati da brillanti ricercatori; erano solo i proprietari del «laboratorio», ma in tal modo possedevano tutto quello che accadeva all’interno. Usando questo monopolio per eliminare rivali, Gates ha reso le finestre di Microsoft onnipresenti su qualunque tipo di computer. Se a questo punto si è tentati di chiedere: «Ma Apple Inc.?», una ricerca veloce ci chiarirà tutto: gli azionisti di maggioranza di Alphabet (Google), Facebook, Amazon, Apple e Microsoft sono un pugno di fondi privati di investimento. L’invincibile armada è guidata da Vanguard Inc.
In un’economia onesta questo comportamento sarebbe illegale; eppure gli esperti di marketing lo hanno definito «brillante». Ma abbiamo bisogno di Mark Zuckerberg per avere amici e poter parlare con loro? No.
La comunicazione e la comunità, le amicizie e le reti sono il fondamento stesso delle società. Non è stato Facebook a darci le «reti sociali». Zuckerberg ha fatto crowdsourcing attingendo da tutti noi. Tutte le nostre relazioni sono la fonte di «big data», la nuova merce del mondo digitale. La tecnologia dell’informazione cerca di vendere le informazioni che attinge da noi. Siamo già alla dittatura digitale. E dobbiamo farci molte più domande. Ciechi, abbiamo elevato i mezzi – che dovrebbero essere scelti democraticamente – a fine in sé. Il denaro e gli strumenti sono mezzi, devono essere utilizzati con saggezza e responsabilità verso fini più elevati come la protezione della natura, il benessere di tutti e il bene comune.

La politica governativa si è ridotta ad agevolare i diktat degli imperi digitali di questi nuovi Moghul. Non sono mai stati così utili gli insegnamenti del mahatma Gandhi in materia di resistenza nonviolenta all’impero, con la creazione di economie vere e sincere nelle mani del popolo, per riguadagnare la libertà. Ricchezza è star bene, non è il denaro. Il denaro in sé e per sé non ha valore. È solo un mezzo di scambio, una promessa.
Nell’economia digitale non c’è fiducia, ma solo un controllo mono-direzionale da parte delle banche globali, di chi detiene e controlla le reti digitali, e di chi può fare soldi in modo misterioso con «trucchi» digitali. Insomma i padroni dello scambio globale. Altrimenti, come potrebbero i giganti dei fondi indicizzati come Vanguard essere i principali investitori in tutte le più grandi compagnie, da Monsanto a Bayer, da Coca Cola a Pepsi, da Microsoft a Facebook, da Well Fargo a Texaco?

Se anche cambio 100 volte 100 rupie, sempre 100 rupie rimangono. Ma nel mondo digitale chi controlla gli scambi guadagna a ogni passaggio di questi 100 scambi. Ecco come l’economia digitale ha creato la classe miliardaria dell’un per cento, che controlla l’economia del 100 per cento. I governi dovrebbero mettere al bando il dominio, non semplicemente le banconote.