Posti in piedi per lo spettacolo delle 18 al cinema Anteo, la sala milanese per cinefili tendenzialmente gauchistes (ma senza esagerare). Fila borghesemente illuminata anche lungo il marciapiede, sbuffano: si resta fuori. Solo Checco Zalone avrebbe fatto altrettanto. Del resto è il primo faccia a faccia delle primarie milanesi. Il match tra i due contendenti (la terza, Francesca Balzani, non c’era e ci è rimasta male) prevede dieci domande e tre interlocutori: due giornalisti, Jacopo Tondelli e Lorenza Ghidini di Radio Popolare, e il sociologo Aldo Bonomi. Rispondono Pierfrancesco Majorino, con la cravatta allentata per rassicurare i “poteri forti” col sopracciglio dubitativo, e Giuseppe Sala non casualmente in maglioncino, per scoprirsi un po’ di sinistra.

Tre minuti per rispondere, ci si dà del tu. Si comincia dalla cultura. Majorino approccia un primo slogan dicendo che “non possiamo pensare che Apple venga contrapposto al cinema Apollo”, Sala lascia intendere che lui è l’uomo giusto per la “ricerca dei fondi” e dunque per promuovere la cultura. Si cerca di entrare nel vivo ponendo i candidati di fronte al problema dei mondi più distanti da loro (per Majorino il business, per Sala la solidarietà sociale). L’ex manager dell’Expo se la cava vantando la sua “capacità gestionaria” unita alla volontà di “fare qualcosa per gli altri”. L’assessore al welfare, più a suo agio con l’argomento, cerca di puntare lo sguardo sulle periferie, “abbiamo bisogno di coniugare la crescita con i valori e con i principi”. Applausi.

Ma che giunta ha in mente il manager Sala? “Non allargherò mai a chi è stato avversario della giunta Pisapia” e, tanto per lisciare il pelo alla permalosità dei milanesi, “il sindaco deve essere molto distante da quello che accade a Roma”. Morale: sono uno di voi (e gli piacerebbe tanto avere a Palazzo Marino Ferruccio De Bortoli). Majorino, invece, punta sui più giovani, “voglio in giunta i trenta-quarantenni” (ma il nome forte è Alessandra Kustermann, storica ginecologa della Mangiagalli). Il tranello, per Sala, scatta solo con la domanda su Comunione e Liberazione. Cos’ha che non va? Il manager replica rifugiandosi in corner, rivendica la sua autonomia ma “starei un po’ attento a buttare la croce addosso a qualcuno”. Dice di non aver mai fatto favori a loro – “andate a vedere” – ma questa volta il suo tono è stizzito. L’argomento, invece, è un calcio di rigore per Majorino: “Io non li voglio vedere” (applauso). Poi ammette che nel sociale ci sono anche buone esperienze targate Cl. Affonda il colpo, non troppo (Cl è una potenza anche per lui).

Sono pochi tre minuti per fare il punto sui temi delle migrazioni e della questione ecologica, logico che l’occasione venga sprecata da entrambi con spruzzatine di aria fritta che non danneggiano nessuno. Propaganda. E alla fine del primo tempo si intuisce che la formula delle domande aperte (e poco incisive) forse non serve per confezionare un thriller, al massimo una gradevole commedia. L’unico guizzo quando Majorino parla delle persone senza casa e dice “noi persone di sinistra”, per sottolineare che non si può prescindere dal tema della riqualificazione delle periferie, “le risorse le troveremo”. L’unica trovata cattivella (ma non è uno scoop) quando lo stesso ha ricordato che Sala era un manager della Moratti. Fischi ma timidi, la sala è ben educata e super selezionata – e lì c’è mezza giunta Pisapia che sta con lui.

Non c’è dubbio, l’ex enfant prodige del Pd locale (è un quarantenne su piazza da più di venti) è uomo politico e dunque più scafato a raccontarsi davanti a una platea. Ha anche un asso nella manica, da esplicitare con più chiarezza però: il reddito minimo comunale, “fatto concreto per aiutare chi ha bisogno”. Il manager, invece, è piuttosto freddo e “un po’ loffio” (sussurrano tra le poltroncine) ma non si può certo dire che abbia steccato la prima. Per riconciliarsi con l’applausometro del resto basta poco: “Se sbagliamo ce li becchiamo per altri venti anni”, e intende il centrodestra con cui lui ha collaborato a Palazzo Marino.

Che ne pensano di Renzi? Qui Pierfrancesco si fa tenerone fingendo di non aver compreso la mutazione genetica del suo partito: “Sono iscritto al Pd e non me ne vergogno affatto, penso che Renzi sia un grande innovatore ma anche che stia sottovalutando alcune questioni, come il riscatto delle persone e i diritti civili. Mi spaventa poi che tutto ciò che sta a sinistra del Pd venga visto come un avversario”. Giuseppe invece si limita a vantare “la stima reciproca”, che certo non butta via. Due risposte molto poco di sinistra, ma queste sono le primarie del Pd. Punto.

Chi ha vinto? Zero a zero, palla al centro. Nessuno dei due si è fatto male e non se ne farà mai troppo anche in seguito (Sala e Majorino sono destinati a convivere a Palazzo Marino). Chissà, magari la commedia si farà più incandescente quando la scena verrà occupata anche dalla vice sindaca Francesca Balzani.